Legàmi: Ada

Entra Ada. Subito, chiusasi la porta alle spalle, vede Orlando al centro della stanza. È seduto con le gambe incrociate, rivolto alla cucina così da darle le spalle.

‹‹Che stai facendo?›› Ada posa le chiavi sul tavolino a manca dell’ingresso, ma non si muove dalla soglia. Orlando, immobile, non risponde. Continua a guardare lo scorcio della cucina, ammesso che abbia gli occhi aperti.

‹‹Ohi! Va tutto bene?››

Ada fa un passo a destra, si sfila il cappotto e lo attacca al gancio libero sulla parete – sulla destra; getta la borsa sulla poltrona.

‹‹Orlando?›› Orlando si volta di scatto, la fissa con uno sguardo neutro, vuoto di sentimenti. Resta qualche istante con il busto e il collo in torsione, avviluppato su sé stesso.

‹‹Tutto bene?›› chiede Ada. Ha fatto solo un passo verso la poltrona dove giace la sua borsa. Guarda Orlando nella sua fissità statuaria.

Lentamente muove due passi verso la porta spalancata della cucina. Gli occhi di Orlando la seguono. Si piantano sul seno di Ada accentuato dal collo slacciato della sua camicetta bianca. Sono persi oltre, lontano.

Ada accenna un sorriso nervoso. ‹‹Orlando sei sicuro di stare bene?››, si volta verso la cucina. La sua stessa voce un po’ tremante le ha fatto paura.

Si ferma sulla porta con un bicchiere d’acqua in mano, Ada. Ne beve un sorso. Orlando la fissa ancora: lo sguardo, la camicetta bianca, il bicchiere d’acqua. Ada lo guarda per qualche istante, abbassa gli occhi sul bicchiere. Le sue labbra si schiudono e fremono ‹‹Ti prendo un po’ d’acqua?››.

Ada e Orlando si guardano per qualche secondo, occhi negli occhi.

Vraaaaaaam!

Ada ha un sobbalzo. Il suo cuore batte all’impazzata. Ha inspirato violentemente per lo spavento, producendo una specie di fischio. Il bicchiere caduto si è frantumato sul parquet, ha scheggiato il legno.

‹‹Accidenti! …il parquet!››

L’appendiabiti a muro è per terra, di fianco alla porta d’ingresso. Ha ceduto sotto il peso delle giacche. Orlando resta immobile come fosse un copione noto, come la polvere accumulata negli angoli per tutta una vita. Fisso lo sguardo su Ada che guarda ai suoi piedi i frammenti di vetro nella macchia d’acqua che si spande lenta sul legno lucido. È agitata, dispiaciuta. Ada alza lo sguardo su Orlando e ride, nervosamente. Orlando, immobile, fugge il suo sguardo, posa gli occhi sul seno di lei, di nuovo.

‹‹Orlando mi dici…›› parla tra i denti, a voce bassa, ma la Sfinge si volta di scatto verso la finestra, a sinistra della porta d’ingresso, all’angolo opposto. Le sue parole si spengono. Ada, sempre lentamente si volta. La finestra è spalancata e ora – solo ora – lanciando una rapida occhiata a Orlando seduto al centro della stanza, si rende conto ch’egli veste solo una t-shirt, dei boxer briefs e calzini bianchi ‹‹Che freddo! Non hai freddo?››.

Orlando è pallido. Fuori l’inverno gela l’aria pungendo il naso e la gola. Le prime luci a intermittenza hanno cominciato ad addobbare i balconi delle case e le decorazioni illuminano la via immersa nella penombra invernale.

Accortasi del gelo che è entrato in casa Ada si è intirizzita, ha la pelle increspata e un’onda di brivido le pizzica la schiena. Scavalca la pozzanghera d’acqua sul parquet e muove verso la porta d’ingresso, si arresta davanti alla poltrona. Apre la borsa, infila una mano, la sinistra, mentre con la destra afferra il bracciolo, appoggiandosi come fosse esausta, per sostenersi. Trova le chiavi dentro la borsa – non ha serrato la porta – e le prende. L’occhio le cade sulla giacca verde olivastra di lui, il cui colletto ancora abbraccia il gancio dell’appendiabiti che pochi minuti prima stava attaccato al muro, avvinghiato come un avventore alla sua puttana. La giacca aveva un’enorme chiazza rossa sulla schiena. Sangue, si tratta sicuramente di sangue. Volta la testa, Ada. Guarda verso Orlando al centro della stanza. È in piedi e la fissa. Ha i peli delle gambe intirizziti e respirando emette una nuvola di condensa. Ada si volta completamente, apre la bocca ma non parla. Teme ciò che succederà, quel che potrebbe andare storto; ha fretta, Ada, e paura di crollare giù. Si avvicina lenta a Orlando che resta immobile, la abbraccia con lo sguardo – un desiderio. Ada allunga la mano tremante a toccare il braccio di Orlando, sente la pelle fredda.

‹‹Che hai fatto?›› Orlando non risponde. Scansa quasi immediatamente il tatto, si volta, corre. In un attimo è alla finestra. Si arresta, guarda fuori di sotto, sporto con le piante delle mani appoggiate al davanzale.

Ada può guardargli la schiena. Non è ferita, nessuna macchia sulla maglietta. Ada corruccia la fronte, non si spiega cosa stia succedendo. Ada si volta e torna sulla giacca di Orlando macchiata di sangue. La afferra sotto il colletto e la solleva in aria, scoprendo quella che era una bottiglia di vino rosso dimenticata forse nella tasca interna. Ora è in frantumi: sul pavimento le gocce rosse del vino, la giacca emana un odore acre di alcool. La lascia cadere un poco più in là sul pavimento e si china a raccogliere il suo cappotto: lo appoggia sulla poltrona sopra alla borsa.

Il tempo. Deve passare del tempo.

Voltatasi Ada si dirige verso Orlando con passo lento. È più calma ma l’agitazione della paura si muove ancora dentro di lei. Muove i passi in fila, cauta, attenta, appoggia accuratamente i piedi a terra. Allunga il braccio verso Orlando ormai alla distanza di poco più di un metro. Quando le dita di Ada ancora attraversano l’aria già sentono il contatto con la stoffa, bramano la superficie come se già avessero provato o avessero la pulsione, irrefrenabile tensione di quel tocco… il gelo che già era dentro la stanza inizia a far ghiacciare le gocce d’acqua sul pavimento.

Orlando volta la testa verso Ada. I suoi occhi sono rossi di stanchezza e pesanti, rossi in modo innaturale sempre di più, più intensamente sanguigni, fin nelle iridi, nelle pupille. Ada si arresta prima che le sue dita possano soddisfare la bramosia. I capelli di Orlando hanno cominciato a cadere velocemente come soldati in guerra. Il suo mento e tutta la mandibola si allunga sempre più a formare una sagoma bestiale, e la barba cresce a dismisura. Le estremità delle orecchie si incollano alla nuca, si fanno tali da ricordare le branchie di certi pesci degli abissi oscuri marini, e nella metamorfosi le labbra si tirano indietro scoprendo le fila di bianchissimi denti. Respira più affannosamente Orlando: il naso si è avvallato al centro del volto. Orlando ha ancora le piante appoggiate al davanzale: le dita si sono allungate e le mani, fino al limitare delle braccia, lasciano intravedere inumane le vene pulsanti.

Ada chiude gli occhi, spaventata; li strizza più forte tremando di freddo o di paura. Allenta la tensione, con gli occhi chiusi ritrae le braccia e si stringe. Fa un passo indietro, Ada. Le gambe cedono. Si fa forza cercando di inalare più aria col suo respiro nervoso, franto. Un altro passo indietro e cade giù, le gambe non reggono. Inciampa nel suo stupore sconvolto, a terra seduta, sdraiata. Trema del freddo che entra dalla finestra ed emette qualche rado gemito. È ancora buio dietro le sue palpebre e già l’oscurità ha preso il sopravvento sul chiarore diurno che tramonta a ovest. Il tempo si deforma dietro quell’invalicabile serranda, trema, si contrae e vede le sue ombre proiettate deformate nel buio. Solo l’udito ora la tiene legata al suo presente. È un’eco lontana che sbiascica i suoni.

Ada sente il respiro di Orlando sempre più rapido e profondo allo stesso tempo. Riapre gli occhi. Orlando si è staccato dal davanzale. Si è strappato di dosso la maglietta – ora giace uno straccio per terra. È di fronte a lei, si erge in piedi come su un fiero destriero. Ma ha sembianze di bestia. Si sfila i boxer a terra. È nudo, fissa Ada, interamente; due occhi paiono braci cerchiate di fuoco. Lentamente le labbra sottili si inarcano in un debole sorriso, in un ghigno inquietante, e poi ancora una cicatrice aperta, lucida ed ebbra. Ada si porta la mano al collo, a coprire lo scollo della camicetta bianca. Si rialza lenta e tremante, cercando di avvicinarsi più possibile alla porta d’ingresso.

Orlando sbuffa un gemito, si lancia veloce verso Ada, la scavalca. Come chi con tutto il corpo s’adagia con forza sul braccio lungo d’un bastone e solo così riesce a muovere un pesante passo, apre la porta, con la stessa foga scende sulla maniglia. Esce, correndo sul pianerottolo deserto e silenzioso.

Ada si è retta in piedi, quando la figura di Orlando le si para rapida davanti, senza più dubbi sulle sue intenzioni, serra gli occhi, si stringe ancor più nel suo abbraccio. Al rumore violento della porta che si spalanca riapre gli occhi di scatto e si volta. Esita un istante, poi si precipita sul pianerottolo dove bestia e uomo non si distinguono più. Fa appena in tempo a scorgere la schiena nuda di Orlando correre giù per le scale e scomparire. Intanto la porta si richiude alle sue spalle in un soffio d’aria gelida.

Ada, con le chiavi in mano, le alza alla luce per riconoscere quella giusta. La afferra con uno sforzo di sicurezza. Si appoggia pesantemente alla maniglia della porta per non cadere. Il pianerottolo è liquido, le scale tremano vorticose. Ada avvicina la mano con le chiavi alla toppa. Ada con decisione la spinge dentro, manca la serratura. Le chiavi cozzano con il metallo e cadono a terra. Ada abbassa lo sguardo, le fissa Ada per qualche istante, raccoglie. Riprova ma fallisce ancora, un fantasma gli spinge via la mano. Finalmente riesce. Si fa forza adagiandosi sulla porta. Ada entra.


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