Nazim Hikmet

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.

Questa poesia di Nazim Hikmet è stata scritta in un periodo molto particolare della vita del poeta. Egli, infatti, scontò 12 anni nel carcere di Brusa, in Anatolia per via della sua adesione al partito comunista e al rifiuto di non pubblicare alcune sue poesie ritenute dal governo sovversive e lesive dell’onore dell’esercito.

Riuscì ad ottenere la scarcerazione dopo il suo primo infarto, avvenuto nella desolazione del carcere, grazie anche ad una commissione internazionale composta da: Tristan Tzara, Pablo Picasso, Paul Robenson, Pablo Neruda e Jean-Paul Sartre. Una volta liberato, però, il governo organizzò due attentati alla sua vita e provò anche ad arruolarlo nell’esercito, nonostante il suo precario stato di salute.

Nel 1951, fu costretto a trasferirsi a Mosca, ma la moglie e il figlio non poterono seguirlo, e lui dovette trascorrere il suo esilio da solo viaggiando in tutta Europa.

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.

(Arrivederci fratello Mare, Varna, 1951)

Nel 1951 perse la cittadinanza turca, in favore di quella polacca, ma fissò la sua residenza a Mosca.

Visse a Mosca sempre da solo, poiché il governo turco continuava a rifiutare di concedere alla sua famiglia il permesso di raggiungerlo.

Nel 1960 si innamorò di Vera Tuljakova e annullato il precedente matrimonio, la sposò. Morì tre anni dopo, a quasi 62 anni in seguito ad una nuova crisi cardiaca.

Ci lascia con questa poesia, scritta per il figlio.

Non vivere su questa terra
come un estraneo
o come un turista della natura:
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre;
Credi al grano, alla terra, all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza
del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell’uomo.
Ti dian gioia
tutti i beni della terra.
L’ombra e la luce ti dian gioia,
le quattro stagioni ti dian gioia
ma soprattutto, a piene mani
ti dia gioia l’uomo.


CREDITS

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.