Si sogna anche nelle banlieues

Dalla fine degli anni Sessanta la Francia ha conosciuto dei grandi flussi migratori provenienti soprattutto dalle ex colonie che stavano ottenendo l’indipendenza come Algeria, Tunisia e Marocco, ma anche dall’Africa sub sahariana, dall’est Europa, dall’India e dalla Cina. La nuova manodopera, che non poteva permettersi gli affitti del centro parigino, era stivata in questi complessi abitativi di periferia organizzati per offrire tutti i servizi necessari: scuole, negozi, trasporti, piscine e ambulatori. Le banlieues (Clichy-sous-Bois, Aulnay-sous-Bois e Sevran), che prendono anche il nome di cités (letteralmente città), erano già state teorizzate dall’architetto Le Corbusier negli anni ’30 e accolgono, oltre alla popolazione immigrata, anche le famiglie di origine francese meno agiate.

L’etimologia del termine rimanda a due significati. Uno indica l’area che circonda la città e che era sottomessa alla sua giurisdizione (ban: potere di amministrare, lieu: luogo);  l’altro, invece, fa riferimento al senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al centro cittadino, messa al bando (lontano dalla città) abitata dagli individui più poveri e ritenuti più pericolosi.

Negli ultimi vent’anni, la crisi del lavoro e la chiusura di molte fabbriche hanno tuttavia reso il bisogno di manodopera non qualificata molto minore. Nei quartieri la disoccupazione è cresciuta, superando in alcuni casi il 40%, considerando che la media nazionale si aggira intorno al 10%. Di conseguenza l’investimento pubblico e i fondi destinati alle periferie sono diminuiti, i servizi e i trasporti hanno smesso di funzionare con efficienza e le banlieues si sono sentite sempre più trascurate dallo Stato, passando da mezzo necessario alla produzione a luoghi di emarginazione sociale dove la violenza ed episodi di ribellione sono all’ordine del giorno.

Un esempio di tali violenze si era verificato nel Novembre 2005 quando l’allora presidente degli interni Nicolas Sarkozy aveva dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Nella banlieue nord di Parigi, nel vecchio distretto operaio di Saint-Denis, sono state incendiate auto, scuole e autobus, durante una manifestazione contro la morte prematura di due giovani quindicenni che per fuggire dalla polizia si erano nascosti in una centralina elettrica rimanendo fulminati.
Alcuni sociologi e la maggior parte dei media francesi e stranieri interpretarono il fenomeno come una difficile integrazione nel modello repubblicano da parte di una così grande varietà etnica, oppure una radicalizzazione del sentimento di appartenenza etnica o religiosa. Secondo Mario Pollo, ad esempio,  sociologo docente alla Lumsa di Roma

Il fenomeno è più ampio, ed è legato alla deterritorializzazione: oggi le persone non si identificano più con le realtà e le comunità locali, ma piuttosto con quelle che vengono chiamate comunità di destino o di sentimento.

Intendendo che i ragazzi figli di immigrati anche di seconda o terza generazione, grazie ai media elettronici, mantengono una sorta di affinità elettiva con la comunità di origine dei loro genitori e ciò rende più difficile il processo di integrazione.
Altri, invece, rifiutarono questa giustificazione dell’accaduto. Infatti, intervistando coloro che quel giorno erano scesi in piazza e che ripetevano ‘’Morti per nulla, per paura delle forze dell’ordine’’, emerse che essi si consideravano francesi a tutti gli effetti e in quanto tali esprimevano la loro rabbia per una serie di diritti che consideravano loro negati.
Afferma Matthiew, 19 anni:

Per noi giovani delle banlieues fuggire alla vista della polizia è all’ordine del giorno, quasi un gioco. Non ci sentiamo rappresentati dallo Stato e dalle sue Istituzioni che invece di promuovere iniziative per risolvere i problemi, ci perseguita e ci mortifica spacciandoci per mostri. 

Ciò che avrebbe dovuto far preoccupare maggiormente è che la miseria, le carenze e le discriminazioni che queste zone devono affrontare, avrebbero potuto favorire l’emergere radicalismi religiosi. Una moschea radicale in grado di offrire assistenza sociale, strutture organizzate e lavoro, troverebbe nelle banlieues terreno fertile per il proprio proselitismo. Alla luce degli attentati successivi, come quello di Charlie Hebdo del gennaio 2015 e l’ultimo verificatosi nel novembre scorso, non sembra che la situazione delle zone periferiche sia cambiata.

Ascoltando le parole di chi vive in prima persona questa situazione, i giovani, coloro che sognano un futuro diverso dal presente soffocante della loro realtà, emerge la sensazione di sentirsi completamente abbandonati:

Mia nonna di 70 anni, con un grave problema alla gamba, è costretta a salire a piedi 16 piani quando l’ascensore non funziona. Abbiamo provato più volte a chiedere di ripararlo ma non sono ancora venuti. Io sto studiando con la sicurezza di non poter trovare uno straccio di lavoro perché nessuno mi vuole se sulla carta d’identità si legge che vengo da una cité. Cosa mi rende diverso da un adolescente del centro?

A tal proposito Mario Pollo argomenta:

Nelle banlieues manca quella struttura sociale diffusa, rivolta ai giovani, che si trova altrove: oltre a non avere punti di riferimento o prospettive, i giovani mancano completamente di luoghi di aggregazione o di quel tessuto educativo necessario alla diffusione di valori che non siano solo quello del denaro.

Eppure, le parole di chi invece è riuscito a uscire da stereotipi e cliché, sembrano mostrare la luce in fondo al tunnel. Parlano infatti i due calciatori di serie A Lilian Thuram e Michel Platini, entrambi cresciuti in periferia.

Non credo che il calcio sia l’unico modo per affermarsi  ed emergere dalle banlieues, almeno ,spero che non lo sia. Però, d’altra parte, quando puoi dare ai giovani un passatempo come quello, certo che qualche problema lo risolvi.

Un messaggio che si staglia forte e chiaro e che riguarda i giovani parigini come quelli di tutto il resto del mondo, qualsiasi sia la situazione sociale e politica che li interessa, è quello di impegnarsi. Impegnarsi per cercare di costruire un futuro migliore per se stessi e per tutti coloro che sono stati meno fortunati. Sognate ragazzi, sognate.


Fonti

Didaweb

Crediti

Copertina

 

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