Il vintage-sad-pop di Tight Eye

Immaginatevi una bambina che canta davanti allo specchio, nella camera di sua nonna che nel frattempo sta preparando il pranzo e non si accorge che questa le ha svuotato l’armadio e indossato i suoi vecchi vestiti, di quando era giovane. Questa bambina è cresciuta, adesso quegli abiti son della sua taglia e con uno stile vintage-sad-pop si esibisce nei pub e accompagnata da Young Coconut e Lone River ha inciso, con l’ etichetta “We Were Never Being Boring”, il suo disco Forget-me-not, parole ben scandite, dieci brani, come i colpi di un revolver.

Ho incontrato questa bambina cresciuta, Giulia Bonometti nome d’arte: Tight Eye, che mi spiega essere un collegamento divertente alla sua infanzia, ai suoi occhi particolari e a svariati episodi in cui veniva scambiata per nipponica nonostante le sue origini bresciane, da qui la scelta di chiamarsi così.

Sta di fatto che Tight Eye, con i suoi occhi piccoli, non guarda certo vicino.
Nei suoi testi melanconici, troviamo spesso rimandi all’America, soprattutto in “Paradise” dove parla dei classici paesaggi Californiani degli anni Sessanta, di Cadillac e palme. Gli States per lei rappresentano un obiettivo da raggiungere a livello lavorativo e non, da qui infatti la scelta di cantare e scrivere pezzi in lingua inglese, accessibili ad una maggiore fetta di pubblico.
In altri testi come “Orbiter”, suo fiore all’occhiello e singolo lancio, occhi e cuore sono proiettati invece verso lo spazio. In questa lettera d’amore, come lei l’ha definita, troviamo sicuramente l’influenza di Ziggy Stardust per quanto riguarda l’ambientazione marziana, ma la passione per la musica degli anni Cinquanta si fa sentire, come del resto in tutto l’album, che ci ricorda un diario segreto.
Nonostante le apparenze rock, Tight Eye sul palco non porta con sé la chitarra, lascia fare tutto alla sua voce empatica accompagnata quasi in sottofondo dalla batteria e dal basso, tutto miscelato con riff di tastiere e synth. È curiosa la sua scelta di mettere in primo piano la voce in ogni suo pezzo. Giulia mi spiega che il canto è collegato al ricordo di un giradischi con i brani di Nina Simone ed Etta James, mostri sacri della musica a cui si rifà, che come peculiarità avevano appunto questa voce dirompente posta sopra a tutto, persino agli strumenti.
L’ultima traccia, “Nobody But Me”, è la conclusione di Forget-me-not, questa sua storia scomposta che ha voluto raccontarci. Tight Eye ci dice addio lasciandoci soli in compagnia della sua voce morbida seguita da un fender rhodes e nient’altro.

Se volete viaggiare con gli occhi piccoli, quasi chiusi, raggiungete qui Tight Eye: www.tighteyemusic.com

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