Io che non credo alla favola del Leicester

di Andrea Alfieri

In direzione ostinata e contraria rispetto al furor di popolo che osanna il trionfo della squadra di Ranieri, dissento e non mi commuovo per la vittoria del Leicester, notando come questo successo altro non ha fatto che svelare la nostra natura più bieca ed ipocrita.

Il trionfo di Davide contro Golia ha mostrato come siamo tutti intimamente romantici e sentimentali, ci ha illuso facendoci credere che le favole esistono, che le utopie non sono semplice polvere di stelle.

Ranieri è stato dipinto come il povero allenatore incompreso, ultimamente capace di forzare un beffardo destino, e negli ultimi mesi l’abbiamo persino compatito per questo.

Il goleador Vardy come l’emblema dell’uno su mille che ce la fa, della working class che svetta al potere, del nessuno che diventa protagonista come vivesse in un musical americano.

Il Leicester tutto, infine, l’hanno raccontato come un sogno, come un aristofaneico mondo delle nuvole alieno dal normale scorrere della vita terrena.

Io tutto questo lo rifiuto. Non accetto la versione favolistica che vogliono venderci e propongo una tesi più materialista e concreta.

Il Leicester ha vinto perchè, quest’anno, è la squadra più forte di Inghilterra. Punto. Non c’entrano i sogni, non c’entrano le favole, non c’entra la redenzione degli ultimi.

Il successo della squadra è il frutto di un calcio intelligente, imposto da un allenatore tutt’altro che sognatore ma al contrario conscio del materiale umano a sua disposizione.

In mancanza dei miliardi dei grandi club che vengono investiti in giocatori non per forza grandi, Ranieri ha sfruttato il suo potenziale proponendo un calcio di sudore, contenimento e micidiali ripartenze, così come in Italia, nella storia, molte squadre hanno fatto, sempre trionfando.

Perché dover proporre un calcio spumeggiante se non ci sono nella rosa calciatori in grado di farlo?

Hanno tentato le grandi manovre tattiche i soliti top clubs, ma la pratica non ha corrisposto alle intenzioni… e perseverare è diabolico.

Sta dicendo lo stesso il gioco dell’Atletico Madrid di Simeone in Spagna: la concretezza può pagare molto di più dell’edonismo e dei nomi stellati.

Ma tutto questo nessuno l’ha visto, acciecato dall’aura favolistica che la stampa e le televisioni ci hanno voluto imporre.

Se fossimo più attenti e meno condizionabili, ci saremmo da tempo accorti che non c’è nulla di insolito nella vittoria di un Leicester quest’anno, per quanto certamente inaspettato.

Ma cosa dobbiamo farci del resto, siamo fatti così. Così ci hanno voluti e così ci hanno plasmati con decenni (forse secoli) di modelli influenzanti.

Piangiamo come vitelli per la fame nel terzo mondo, ma rifiutiamo pochi centesimi al mendicante per la strada.

Guardiamo di cattivo occhio gli zingari temendo che ci rubino anche l’anima, ma imperterriti lasciamo che una certa classe politica faccia il buono ed il cattivo tempo.

Snaturiamo gli animali trattandoli come figli costringendoli in giubottini, giacche o impermeabili all’ultima moda, per poi sgridarli se annusano il piscio di un loro simile.

Cadiamo in un cosmo di rose e viole se il povero piccolo Leicester vince il campionato inglese rifiutando il fatto concreto e gettandolo nel bagaglio del surreale, di certo più idilliaco e commerciabile.

Ricerchiamo in ogni angolo delle nostre vite giustizia, splendore e riscatto sociale, ma tra le parole ed i fatti facciamo correre ere geologiche.

Ora vogliamo anche rendere una favoletta la vittoria di una squadra che l’anno passato era in fondo alla classifica?

Nossignori, di favolistico questa volta non c’è proprio nulla. Il Leicester è una solida realtà che intelligentemente è svettata tra il naufragio delle squadre favorite.

Scorrere il loro campionato per credere.

 

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