PERCHÉ BATMAN V SUPERMAN È UNA CAGATA PAZZESCA?

Sì, lo so, c’è uno zoccolo duro di persone che hanno in casa il poster di Batman e le lenzuola di Superman che sono già pronti con i forconi di kryptonite. Dall’altra parte ci sono i demolitori seriali di cinefumetti: la particolare conformazione fisica delle loro corde vocali permette loro di urlare “morte al cinefumetto!” e “W il cinema d’autore!” a una frequenza impossibile per un normale essere umano. Questi individui, però, hanno ormai un bel da fare con Civil War, in attesa di affondare i canini nel granitico polpaccio del prossimo eroe in calzamaglia.

E poi ci sono io che, a distanza di oltre un mese dal fattaccio, non ci penso proprio a lasciare che il tempo lavi via il marciume, e con fare da iena riesumo la carcassa marcescente di Batman v Superman per infierirgli l’ennesimo, vigliacco colpo di grazia.

Ecco a voi, quindi, cinque buoni motivi per non andare a vedere l’ultimo aborto di Zack Snyder, oppure per chiedere l’assoluzione a qualche divinità nel malaugurato caso l’aveste visto. Spoiler a ripetizione, chiaramente:

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#1. 151 minuti

In 151 minuti si possono fare parecchie cose: si può guidare da Milano a Trento con la propria dolce metà per un weekend romantico all’insegna di canederli e vin brulé; si può osservare il processo di asciugatura della vernice fresca o tentare di battere il record mondiale di apnea. Tutto fuorché questo. Il film intrattiene a tratti, per carità, ma perlopiù ogni minuto passato di fronte allo schermo si inciderà dolorosamente sulla pelle, con buona pace di quelli che sono andati al cinema per vedere uno scontro epico tra supereroi e si sono ritrovati tra le mani quindici minuti scarsi di schermaglia affogati in una palude di chiacchiere inutili.

Come se non bastasse il regista ha dichiarato che verrà distribuita in home video una ultimate edition da 181 minuti, perché il masochismo non è mai troppo.

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#2. Ben Affleck

Qui è come sparare sulla croce rossa, me ne rendo conto, ma… Ben Affleck? Io sono uno di quelli che l’hanno adorato in Gone Girl – L’amore bugiardo, ma lì la sua totale apatia era perfettamente giustificata e funzionale al procedere del film. Nei panni di Bruce Wayne, invece, dà la costante impressione di essersi ritrovato sul set per caso, magari in cerca di cappuccino e brioche per ingranare la giornata.

È un peccato, perché nelle scene d’azione di Batman se la cava egregiamente, ma, in un film che vorrebbe farci credere che le cartellate sui denti di due tizi in calzamaglia sono in realtà un’allegoria miltoniana dello scontro tra l’uomo e la divinità, il faccione di Affleck annienta ogni traccia di credibilità.

 

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#3. L’amico che non sa raccontare

Tutti hanno quell’amico che, dopo essere tornato da un entusiasmante viaggio intorno al globo, ti racconta la sua esperienza con la flemma di un bradipo morfinomane. Tu vorresti stare ad ascoltarlo – è stato tra i leoni, come può non essere interessante!? – ma all’ennesima divagazione sulle proprietà antiossidanti e diuretiche del tè indiano la tua mente inizia a viaggiare su vette inaccessibili a qualunque stimolo esterno. È tutta una questione di tempi, pause e suspence piazzati al punto giusto, e c’è chi il dono di raccontare storie non ce l’ha proprio nel sangue, vuoi per confusione mentale o per svogliatezza. Il problema sussiste quando a non averlo sono due sceneggiatori, Chris Terrio e David Goyer. Due ore e mezza di film dovrebbero essere più che sufficienti a sciogliere ogni nodo, a dare il giusto spazio a tutti i personaggi, o almeno così credevo: apparizioni come quella di Aquaman, o lo stesso personaggio di Wonder Woman (Gal Gadot) sono talmente poco approfondite e giustificate che ho avuto la sensazione di essermi addormentato, perdendo dei pezzi fondamentali della trama. E forse sarebbe stato meglio così.

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#4. Martha

Eh vabbè, ne hanno parlato tutti, quindi tanto vale unirsi al mucchio: da rivale imbufalito Batman diventa amicone del supertizio nel momento in cui scopre che le loro madri si chiamano allo stesso modo. Momenti di altissima sceneggiatura. Già mi immagino le persone che hanno giustificato persino questa scena: “eh ma è simbolico! Il nome della madre simboleggia un riconoscimento fraterno, quasi ungarettiano, tra i due personaggi, per la prima volta visti nella loro fragile natura di esseri imperfetti e sofferenti”. Lodevole il tentativo di imitare la sofistica di Gorgia difendendo l’indifendibile, ma no, per quanto la si possa infiocchettare era e rimane una pessima scelta di sceneggiatura.

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#5. “What is dead may never die”

Questo è il punto più soggettivo, ma anche quello che mi da più fastidio. Per quale motivo – e qui lo spoiler è d’obbligo, vi avevo avvisato – Superman non può semplicemente morire senza che un odiosissimo cliffhanger ci lasci intuire una futura resurrezione? Gli ultimi secondi del film, in cui dalla bara di Superman sembra levarsi un’aura da super sayan, sanciscono la morte del cinefumetto, un genere che sembra ormai aver perso il coraggio di scendere a patti con il lutto, in cui la morte è un tabù a cui ricorrere solo per scuotere qualche pigro neurone in attesa dell’inevitabile happy ending. Un po’ come Beautiful.


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