Attraverso l’India con Hermann Hesse

Forse non siamo tutti appassionati di letteratura tedesca, però i nomi di Hermann Hesse, Siddartha, Narciso e Boccadoro, sicuramente ci dicono qualcosa. Ultimamente mi sono ritrovata ad occuparmi di questo autore che forse in Italia non è così conosciuto, ma che in Germania è una vera e propria leggenda e ha tutti i motivi per esserlo.
Le sue opere sono sempre molto autobiografiche, raccontano una vita molto interessante e complicata. Innanzitutto fin dalla nascita Hermann ha due cittadinanze, una tedesca e l’altra russa, ma nel corso della sua vita le rifiuta entrambe per entrare in possesso di quella svizzera, un po’ per motivi politici (visse durante tutte e due le guerre mondiali ma era un pacifista), un po’ per motivi personali.

In Svizzera trascorre gran parte della sua vita e trova una patria adottiva, ma il sentimento di essere uno straniero in terra straniera non lo abbandona mai e si riflette fortemente sui suoi libri. Come dargli torto? Hermann Hesse incarna l’essenza dell’uomo incapace di sentirsi a proprio agio in un solo luogo o in una sola cultura e che ha bisogno di continuare a cambiare idee e vita per stimolare la sua crescita personale. Quest’incapacità di “adagiarsi” in una sola vita, definita da confini stretti, rende Hermann Hesse un uomo ricco di idee ed aperto all’incontro con altre civiltà, come testimonia il suo celebre viaggio in India.
Hermann Hesse conosce la cultura induista e quella buddhista fin da piccolo, perché i genitori erano attivi come missionari in India. In un momento di crisi personale e creativa, decide di recarsi in questa terra lontana, resa a lui celebre dai racconti favoleggianti dei genitori.
Al ritorno dal suo viaggio però non riesce a ritrovare la tanto sperata pace interiore, anzi il viaggio risulta essere addirittura un’enorme delusione: rimane disgustato dal calore, dallo sporco, dall’atteggiamento ossequioso delle classi basse verso quelle più alte. Insomma, un vero fallimento.

Immagine: http://www.sea-inside.de/wp-content/uploads/Bilder/Hermann%20Hesse.jpg
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Tuttavia questo viaggio non risulta essere del tutto infruttuoso. Al contrario, Hermann Hesse ne ricava il materiale per la stesura del suo più celebre romanzo, Siddharta ed inoltre elabora una concezione molto originale della religione. Ormai lungi dal vedere la religione cristiana come negativa e quella induista come positiva, ora crede in una religione a sè, che si estende al di sopra delle confessioni e che è indistruttibile. Ma la sua presa di posizione a mio parere più interessante e più conciliante risale a qualche anno dopo, dove afferma che “ciascuna religione è buona tanto quanto un altra. Non ce n’è nessuna attraverso la quale si può diventare un saggio e non ce n’è nessuna che si può praticare semplicemente attraverso l’idolatria.”

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