Francofonia: la guerra all’arte

 

di Diego Maroni

È estremamente difficile riuscire a dare un’etichetta chiara e comprensibile a Francofonia – il Louvre sotto occupazione, il film di Aleksandr Sokurov  presentato alla scorsa Mostra del cinema di Venezia, ma un simile senso di indefinibilità è esattamente ciò che il regista cerca di suscitare quando gira e monta la sua opera.

Russo, classe ’51, Sokurov è uno dei maggiori intellettuali al mondo che si occupano di cinema. La sua opera più famosa ed eclettica è Arca Russa, un film del 2002 costituito da un unico piano sequenza che per un’ora e mezza esplora e fa esplorare le meravigliose stanze dell’Ermitage, ripercorrendo con maestria e stupenda filologia la storia della Russia fino alla rivoluzione d’ottobre del 1917 con cui si chiude la lunga parabola degli zar.

Immagine inserita dal revisore

Francofonia è contemporaneamente simile e opposto ad Arca Russa. Una prima menzione va fatta al reparto tecnico: il virtuosismo estremo del piano sequenza viene sostituito da una carrellata enciclopedica di linguaggi diversi, formati filmici che si stringono e si allargano continuamente, una perpetua oscillazione dei toni di colore e luminosità, persino (in pochi punti) dell’ottima CGI. Riuscire a combinare una simile accozzaglia di elementi diversi sarebbe stato impossibile a chiunque, ma Sokurov riesce con una maestria eccezionale a combinarli perfettamente rendendoli immediatamente nitidi e chiari allo spettatore. Il risultato è un impatto fortemente estetico, visuale, a livelli di rara bellezza.

Il regista usa questa diversificazione di tecniche visive per aiutarsi nella narrazione. In Francofonia, infatti, si alternano per tutta la durata del film tre grandi linee narrative, ciascuna di esse a suo modo unica ma incomprensibile senza le altre due.

1940 – La parte più “narrata”, ma anche più contenuta in termini di tempo, della pellicola, racconta attraverso un sapiente mix di filmati d’epoca (false, ma credibili) e di scene recitate sul set un episodio che, studiando la storia, spesso si tende a trascurare. È il 14 giugno 1940: a poco più di un mese dall’inizio della campagna di Francia le truppe naziste entrano in una Parigi semideserta. La città è aperta, abbandonata dal governo in fuga verso sud, e nessuno ostacola le truppe naziste che marciano per i boulevard. Quello che Hitler vuole veramente dalla città, però, è il Louvre, casa della cultura europea occidentale. Il generale Franz Wolff-Metternich, capo del Kunstschutz (l’organizzazione nazista per la protezione delle opere d’arte), si trova a negoziare con Jaques Jaujard, direttore dei Musei del Louvre svuotati di tutte le tele e opere trasportabili e nascoste nei castelli di Francia. Il loro è un rapporto affascinante quanto complicato, uno scontro tra due uomini entrambi convinti delle proprie idee tra loro antitetiche (uno è un gerarca nazista, l’altro un perfetto repubblicano francese) che troverà però un punto focale nella materia a loro più cara: l’arte e la sua protezione a ogni costo.

2015 – La seconda linea cronologica è ambientata ai giorni nostri nella casa di Sokurov a Parigi. Si limita a poche scene sparpagliate qua e là dal regista nel corso di tutta l’opera, ma ne è in qualche modo il filo conduttore e quella che ricongiunge e rende attuale tutta la riflessione portata avanti dal russo. Vediamo il regista dialogare su Skype con un amico, capitano di una nave mercantile russa che sta traversando il mare in tempesta per trasportare diversi container pieni di opere d’arte. Non sappiamo dove il capitano si diriga, né perché, né quali opere trasporti, perché non è a questo che Sokurov vuole farci pensare. La tragica storia del capitano Dirk, con cui a un certo punto si interrompe definitivamente la linea, serve a farci fare un esame di coscienza sul nostro rapporto con l’arte e su quanto siamo disposti a rischiare per lei.

LIBERTÉ, ÉGALITÉ, FRATERNITÉ – È però la terza parte quella più densa e simbolica, in cui si esprime appieno il senso del titolo, la “francofonia” vista non come una capacità linguistica ma come un insieme di valori e storia. In un tempo sospeso, di notte, col museo vuoto, per le enormi stanze del Louvre si sente risuonare una voce: “Liberté, égalité, fraternité!”. È la Marianne, simbolo per eccellenza della République, che vaga per il museo. Attraverso i suoi occhi riusciamo ad esplorare il museo, a coglierne la magnifica imponenza e la delicatezza estrema. Ella non è però la sola a trovarsi in questa atmosfera sospesa: a un certo punto ecco spuntare, infatti, Napoleone. I dialoghi tra i due personaggi sono pochissimi, e sempre altamente ermetici, ma uno su tutti è il grande messaggio che ne esce: il Louvre è Napoleone e Napoleone è il Louvre. L’identificazione del museo con l’imperatore di Francia è innegabile: i corridoi del museo sono pieni di opere portate in patria da Bonaparte durante le sue campagne militari. Ma la finissima e intelligentissima riflessione che fa Sokurov a questo proposito è probabilmente quanto di più distante ci sia dal sentire comune.

Francofonia non è un film indulgente verso nessuno: se proprio gli si dovesse dare un’etichetta lo si potrebbe definire onesto, giusto. Non compatisce Jaujard per essersi infine piegato alle richieste di Wolff-Metternich e non accusa quest’ultimo di averle avanzate, né vede in Napoleone un ladro o un razziatore. Per Sokurov tutto quello che riguarda l’esperienza umana, le nostre singole vite, i tasselli da cui si dipana la storia, è solo qualcosa di inconsistente destinato a perdersi nel tempo. Ciò che conta davvero, e alla cui preservazione devono attendere le nostre vite altrimenti insignificanti, è l’unica cosa realmente capace di attraversare indenne i secoli e parlare a persone di ogni epoca: l’Arte.


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