Etica e morale nella poesia

Spesso ci si equivoca sul termine etica quando lo si associa alla morale. In realtà sono due termini molto differenti per il significato e il portato storico che detengono. L’etica infatti è un termine legato all’ethne, ovvero alla popolazione. Indica un comportamento, un uso, insito in un dato contesto, qualcosa che prescinde dalla norma. La morale è invece qualcosa di legato ai mores, ossia i costumi, quindi afferisce ad un contesto giuridico. Essa sta alla base delle leggi che ci poniamo per la convivenza. Spesso questi due aspetti vanno in contrasto. Su tutti l’esempio dell’Antigone, in cui è subito evidente lo scontro tra legge scritta e legge interiore. È chiaro che quest’ultima è l’etica.

Questa premessa era necessaria prima di ogni discorso che tratti di come l’etica si anima nel nostro mondo contemporaneo. Sopratutto perché spesso non si ha una vera coscienza dei termini in gioco.

Etica e morale: le differenze nella pratica

Si può dire che in antichità il tema etico in poesia era sovente messo in gioco, spesso in contrasto con la legislazione, altre in pieno accordo. Esiodo è forse uno degli esempi più alti di poeta che dà dettami comportamentali importanti, in particolare nell’opera rivolta al fratello, Le opere e i giorni. In questo poema cerca di spiegare come un uomo si deve comportare per essere retto. Questo lavoro era svolto da un poeta perché allora la trasmissione dell’etica era posta nelle sue mani. Attraverso i versi si dettavano non solo storie, ma anche forme di comportamento che dovevano porre le basi per qualsiasi tipo di morale e che solo il poeta, paragonabile in questo caso ad un profeta, poteva delineare.

Questo tipo di poesia ha poi assunto particolare spessore nella Roma di Augusto, ma in altri termini (più opportunistici). Virgilio e Orazio sono stati dei grandi poeti che facevano convivere la morale Augustea ad un dettame etico. Solo che non sempre questa convivenza era presente. Ovidio fu cacciato ed esiliato perché ritenuto persona di dubbi costumi. Probabilmente i suoi Ars Amatoria e Amores non rientravano nei progetti moralizzatori di Augusto, ma restano comunque due opere che dettavano un’etica amorosa. Ovidio è stato vittima, come tanti poeti prima e dopo di lui, di uno dei tanti scontri con la morale.

Il tutto a dimostrazione che non sempre morale ed etica vanno di pari passo, perché la poesia, in un modo o nell’altro, detta un’etica, ossia una via comportamentale. Questa è da perseguire non perché giusta, ma perché espressione di un’esigenza che va oltre il prodotto, i costumi e le leggi.

Questione etica e società di massa

Spesso si è vista la figura del poeta e della sua poesia come non-morale, anche in anni più vicini a noi. Il poeta è sempre stato una figura al confine, al margine della società. Da Baudelaire, fino a Montale, i poeti moderni non hanno mai brillato per la loro socialità o il loro accordo con i costumi dei loro tempi. In genere solo i poetuccoli di corte vi aderivano. Comunque, prescindendo dai loro comportamenti personali, importa di più alle nostre finalità il loro scrivere.

Generalmente in questa nostra epoca, sconquassata da una società di massa tirannica e solipsista, è assente l’etica, ma è fortissima la morale. Basti pensare a questioni banali come il distacco tra la normativa giuridica e i dettami etici in una qualsiasi impresa, oppure alla differenza tra legislazione dell’informazione ed etica del giornalista: le prime sono obbligatorie e vincolanti, le seconde vanno secondo coscienza e sono opzionali. E quando i poeti ricordano che esiste anche un’etica, che in realtà soprassiede la morale, sono considerati amorali.

Viene da chiedersi a questo punto che cosa conta di più, la morale o l’etica? Dire cosa abbia la priorità è deleterio, perché sarebbe troppo difficile e richiederebbe un lavorio intellettuale lungo almeno quanto Essere e tempo. Piuttosto, visto che si tratta di poesia, bisognerebbe restituire ai poeti la loro maestranza etica, rivalutandoli anche secondo questo aspetto nelle loro opere, perché bisogna una volta per tutte chiarire che chi fa poesia non detta solo mirabilia, tanto meno assurdità, ma è legato a doppio filo e profondamente con la mondanità.

Resta comunque vero che col distaccarsi di senso immediato dal verso, coll’ermetismo e con la frammentarietà diffusa, tesa al lirismo, si è vista diffondersi un’idea di poesia che non racconta, che non ha portato di realtà. Forse in questo la scuola non aiuta, anzi. Infatti, con l’interpretazione notistica in ogni dove – a volte ridicola – ha reso la poesia un modellino da collezione, da mettere in vetrina, non rendendo edotto chi la studia di quanto in realtà abbia da insegnare, soprattutto da un punto di vista etico e umano.

Ad alta voce

Ovviamente, questo ruolo è più evidente in chi fa poesia civile, come Pasolini, Neruda, Raboni e tanti altri, ma anche in chi suona più intimista, come Ungaretti, il quale con la sua scrittura molto piana all’inizio del suo percorso lirico, poi sempre più complicata, con un ritorno allo schema metrico ha comunque sempre dettato dei comportamenti, mostrando il suo dolore in trincea.

Questo non è riferibile a un solo poeta, ma a tutti, perché tutti i grandi poeti, in un modo o nell’altro, hanno dettato un comportamento, riferendoci a piene mani il loro dolore e insegnandoci come combattere simili mali. In questo non c’è bisogno di annotare o di definire: è qualcosa di più sotteso, una sensazione, che solo i grandi riescono a imprimere nelle parole. E spesso tutto questo coacervo non risiede nei significati, ma nei significanti, ossia nelle parole come suono.

A questo punto gioverebbe leggere poesia ad alta voce: di solito funziona e rende evidenti certe cose, che magari in una lettura a mente non emergono. Strano, ma non troppo, visto che la poesia è nata come recitazione e non come lettura nel proprio intimo.

FONTI

Esiodo, Le opere e i giorni

Ovidio, Ars Amatoria

M. Heidegger, Essere e tempo

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