Un giorno, per le strade di una città orientale, fu avvistata una donna che portava una torcia accesa in una mano e un secchio pieno d’acqua nell’altra. Quando le chiesero cosa avesse intenzione di farne rispose: “Voglio spegnere le fiamme dell’inferno e dare fuoco ai premi del Paradiso. Impediscono di seguire la via di Dio. Non voglio agire per paura di una punizione o per desiderio di un premio, ma solo per amore di Dio.“
Quella donna era Rabia Basri, mistica musulmana del VIII secolo, oppure anche una visione del mistico cristiano Jean De Joinville, ad Acri, due secoli più tardi.
La ricerca di una vicinanza con la Divinità ha assunto numerose forme nella storia delle religioni, alcune meno razionali e più difficili da condividere di altre. Il termine “mistica” ha in sè una radice che ricorda il mistero, qualcosa di indefinito o indefinibile. “Un vero mistico- ha affermato Rav Arbib, rabbino capo della comunità ebraica di Milano, in una conferenza interreligiosa svoltasi su questo tema presso l’Università degli Studi di Milano- non insegna, non condivide.”
Per questo rimangono molti i dubbi e le suggestioni dietro alla “kabbalah“, la mistica ebraica fondata su interpretazioni di numeri e lettere bibliche a cui voci ingigantite, esplicitate anche da una domanda a fine incontro, attribuiscono sfumature magiche come la possibilità di prevedere i numeri del lotto, o la data della fine del mondo. Data che fu calcolata molte volte in passato, senza che si realizzasse nulla di distruttivo a livello planetario anche se, ricorda il rabbino, in alcuni casi si son verificati eventi tragicamente significativi, come la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492.
Fra i mistici ebrei il rabbino ricorda Itzak Luria (1534-1572), che espresse l’idea dello “tzimtzum” (contrazione, concentrazione) come modo per conciliare l’infinità della divinità con la creazione di esseri finiti come gli uomini.
Compito di un ebreo sarebbe il “tikkun”, parola tradotta come “riparazione”, che intende una necessità di ricondurre all’uomo la luce divina, attraverso numerose pratiche e buone azioni (“mitzot”).
La mistica cristiana, afferma la teologa Maria Pia Ghielmi, va considerata in maniera indissolubile dai concetti di carità e di fede, intendendo la fede come un “atteggiamento globale”, che influenza ogni aspetto della vita di un cristiano e va oltre alla semplice credenza. Il “mistero” in senso cristiano è il disegno salvifico di Dio che si realizza in Cristo. E spesso cercare di svelarlo spinge ad andare oltre la ragione:
“Fai un patto con la tua ragione di compiere quanto ella ti dice nel cammino di Dio: ciò presso di Lui ti varrà piú di tutte le opere che fai senza tale riflessione e di tutti i gusti spirituali che tu desideri.” affermava San Giovanni della Croce, sacerdote cristiano e poeta del XVI secolo, rappresentante della cosiddetta “mistica dell’essenza”.
Ad essa si affiancava la cosiddetta “mistica sponsale” la cui massima rappresentante fu Santa Teresa, che aveva esperienze di avvicinamento al divino che la coinvolgevano totlamente, anche fisicamente.
Per quanto riguarda la mistica islamica ,emblematica è la figura del fondatore della tariqah (confraternita) Alawiyya, lo Shaykh al Alawi, e del filosofo francese Renè Guenon, convertito all’islam con il nome di ‘Abd Al-Wahid (servo dell’Unico) Yahya. Entrambi si sono espressi riguardo alle somiglianze fra le tre religioni monoteistiche nel rapportarsi con la Divinità.
“Lo Shaykh al ‘Alawî al suo medico francese – il quale sosteneva che tutte le credenze si equivalgono – rispondeva:
Si equivalgono solo se si considera l’appagamento. Ma vi sono dei gradi: alcuni uomini sono appagati con poco, altri sono soddisfatti con la religione e alcuni reclamano di più. Per costoro ci vuole non solo l’appagamento, ma la Grande Pace, quella che conferisce la pienezza dello spirito. E le religioni allora? – incalzava il medico. Per questi ultimi – riprendeva lo Shaykh – le religioni non sono che un punto di partenza, al di sopra della religione vi è la dottrina, i mezzi per arrivare fino a Dio, ma perché dovrei dirvi quali sono questi mezzi se non siete disposto a seguirli? Se voi veniste a me come discepolo potrei rispondervi, ma a che pro soddisfare una vana curiosità? Sapete che cosa vi manca? Vi manca per essere dei nostri e percepire la Verità, il desiderio di elevare il vostro spirito al di sopra di voi stesso; e ciò è irrimediabile.”-racconta Pallavicini.
Fonti:
Ciclo di conferenze svoltesi presso l’Università degli Studi di Milano, organizzate da Ugei (Unione Giovani Ebrei d’Italia), FUCI (federazione universitaria cattolica italiana) e Coreis (comunità religiosa islamica italiana), 2014.