Il termine mobbing nasce agli inizi degli anni Settanta per indicare l’atteggiamento di un animale che assale un suo simile per allontanarlo dal branco. Dal punto di vista grammaticale, la derivazione latina di mobile vulgus sta a indicare la “gentaglia” e nello slang americano il termine mobster denota chi appartiene alla malavita ed ha un comportamento violento. Anche oggi si parla di mobbing quando, sul posto di lavoro, si sfrutta un insieme di comportamenti aggressivi, verbali e/o fisici, al fine di eliminare un collega inducendolo a licenziarsi.
Il terrorismo psicologico è un metodo di intimidazione basato su una continua pressione psicologica finalizzata a influenzare i comportamenti e le opinioni delle persone. L’aggressore inizialmente evita di avere un rapporto con quella persona e successivamente condiziona i membri del gruppo al punto che anch’essi sono indotti a isolare l’individuo. Così facendo il mal capitato diviene il perfetto bersaglio su cui scaricare le colpe dei problemi dell’ufficio o dell’azienda. Il predatore sceglie la sua vittima attentamente: il fragile, taciturno, colui che non si impone e non esprime la propria opinione; in questo modo sarà difficile accorgersi della violenza sia per gli altri colleghi, che vedono le battutine e ironie come superficiali, e soprattutto per il povero agnello aggredito.
Non ci si accorge immediatamente di ciò che succede perché la nostra mente non riesce a sostenere tutta l’ansia che viene scaricata addosso ingiustamente e sviluppa dei meccanismi psicologici di difesa che non fanno vedere la realtà che risulta troppo sgradevole. La belva, al contrario, scarica tutte le sue ansie e frustrazioni in silenzio, giocando sul fatto che la preda pensi sia tutto frutto della sua immaginazione e delle sue paranoie, incassando il colpo. E l’ambiente lavorativo diventa invivibile.
La competizione è naturale e legittima in ogni contesto, ma perché si passa dalla volontà di realizzazione personale all’odio e al voler fare successo a discapito degli altri? Qui sopra ho usato termini riferiti al mondo animale per definire il mobster dato che lo stesso Freud diceva che l’aggressività umana è un aspetto animale che è rimasto a livello inconscio nell’uomo. La convivenza sociale ne ha respinto le pulsioni, ma quando si mette sul piatto della bilancia se stessi e gli altri, subito l’uomo torna a manifestarsi nella sua crudeltà primitiva: “Homo homini lupus“, l’uomo è un lupo per l’uomo.
Ad oggi ciò che più spaventa è che queste parole, azioni e comportamenti non sono puniti da nessuna legge se non resi evidenti con la violenza fisica, ma feriscono ancora di più e indelebilmente la coscienza. La vittima ne esce confusa, lesa nella sua identità personale e professionale, insicura su quali siano le sue capacità e potenzialità perché ne è stata privata in cambio del senso di colpa. In questi casi è importante avere accanto persone che invece riconoscano perfettamente il valore delle proprie competenze e capacità, dei punti fermi ai quali aggrapparsi per riavere la spinta necessaria per risalire sulla barca dalla quale si è stati ingiustamente buttati in mare.
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