Di Sara Ottolenghi
Uno dei sistemi più difficili da replicare su modelli cellulari o animali per valutare gli effetti di molecole, come ad esempio componenti di nuovi farmaci o sostanze d’abuso, è quello del comportamento umano.
Negli anni ’50, il farmacologo tedesco Peter Witt ebbe l’idea di sperimentare l’effetto di alcune droghe sui ragni. Le ragnatele hanno quasi sempre infatti una stuttura geometrica ben definita, variazioni in tale struttura possono essere conseguenza osservabile di variazioni a livello del sistema nervoso dell’animale. Questa insolita ricerca sembra essere nata dall’idea di un suo collega zoologo, desideroso di modificare gli orari scomodi in cui i ragni del suo laboratorio producevano le ragnatele. La caffeina fu così fra i primi composti testati con questo scopo sugli aracnidi. Invece di modificare il ritmo sonno-veglia, tuttavia, questo stimolante del sistema nervoso centrale velocizza la costruzione di una tela di forma tuttavia più irregolare.
L’idea fu portata avanti anche utilizzando farmaci sedativi come il cloralio idrato, oggi meno in uso, che ha dato luogo alla costruzione di una tela incompleta, a maglie larghe, e allucinogeni come l’LSD, il cui risultato è stata una struttura ridotta al minimo.
In un’epoca in cui le analisi molecolari erano ancora complesse e rudimentali, si pensò in seguito di andare a indagare, con questo metodo, la presenza o meno di sostanze attive sula psiche nelle urine di pazienti che giungevano all’attenzione medica per schizofrenia. Purtroppo questa ricerca non è risultata efficace. Ancora oggi questa patologia è diffusa nell’1% della popolazione, ma i meccanismi biochimici alla base e i bersagli farmacologici sono diversi e difficili da stabilire.
L’idea di servirsi di questi spesso temuti e odiati esseri a otto zampe per testare la neurotossicità di alcuni farmaci fu ripresa più volte, in particolare nel 1995 da scienziati della NASA (che si interessano, fra le altre cose, anche di come un aracnide possa tessere in assenza di gravità).
“Perchè dovremmo lavorare con quell’animale strano, il ragno, invece di qualche animale familiare e di più alto livello evolutivo più simile all’uomo? La risposta è che non possiamo intervistare gli animali sulle loro esperienze più di quanto non possiamo fare con i ragni, ma un piccolo ragno ci dà ogni giorno, con la sua ragnatela una relazione oggettiva e misurabile sul suo stato di salute fisica e mentale.” (P. Witt su Scientific American, 1955)
Queste ragioni sembrano valere ancora oggi, in aggiunta forse a un diverso consenso da parte della popolazione: se i topi da laboratorio suscitano compassione negli animalisti, portanno avere questo effetto anche gli aracnidi?
Potrà mai questo tipo di ricerca dare i suoi frutti? Certamente ha dato luogo a divertenti filmati magari utilizzabili come campagna contro alcune sostanze di abuso (i ragni sotto l’effetto di droghe sembrano non trovare riparo dalla pioggia sotto le proprie ragnatele).