Serve un genocidio per dare più spazio alle donne in politica?

Hillary Clinton ha perso le elezioni: la speranza di vedere la prima donna presidente degli Stati Uniti d’America è svanita. Ma quale ruolo hanno avuto e hanno le donne in politica?

Guardando le cariche politiche più importanti, si scopre che la prima donna eletta primo ministro nella storia fu Sirimavo Bandaranaike, che guidò lo Sri Lanka per tre volte, mentre la prima presidente fu l’argentina Isabel Perón, che succedette al marito Juan. Se si guarda invece alla storia europea, fu Margaret Thatcher la prima donna primo ministro, mentre l’islandese Vigdís Finnbogadóttir fu la prima a essere eletta presidente. Per quanto riguarda l’Italia, non vi è invece mai stata una donna presidente del Consiglio né presidente della Repubblica.

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Analizzando poi il ruolo delle donne nelle assemblee parlamentari del mondo, l’Unione interparlamentare (IPU – Inter-Parliamentary Union), organo che riunisce tutti i parlamenti del mondo e lavora insieme alle Nazioni Unite, nei suoi rapporti mostra che solo il 22,9% di tutti i parlamentari del mondo sono donne (1° novembre 2016).

I dati IPU mostrano come solo due Paesi abbiamo eletto il 50% o più di donne nella camera bassa: il Ruanda dove il 63,8% di parlamentari è donna e la Bolivia, con una percentuale del 53,1%. Il risultato in Ruanda può apparire sorprendente, ma in fondo non più di tanto se si pensa al genocidio avvenuto nel 1994: delle 800.000 vittime, circa il 56% erano uomini e alla fine della guerra le donne divennero molto più numerose degli uomini. La ricostruzione del Ruanda fu quindi molto condizionata dalle donne, le quali assunsero un ruolo attivo in molti campi, compreso quello della politica.

L’Italia, invece, con la sua percentuale del 31% di donne alla camera dei deputati, si colloca al 42° posto, a pari merito con Trinidad e Tobago, dopo Paesi come la Namibia, Etiopia e Burundi. È necessario sottolineare però che la partecipazione politica non equivale alla libertà effettiva delle donne.

Sicuramente una media complessiva di donne in ceilingbigparlamento pari al 22,9% è un passo avanti rispetto a quella dell’11,3% del 1995, ma siamo ancora ben lontani dalla metà: le donne non sono ancora riuscite a superare il cosiddetto “soffitto di cristallo”, quella barriera invisibile fatta di discriminazioni che ostacola il raggiungimento di ruoli apicali.

Come possiamo vedere il fattore culturale incide poco perché sono anche altri i meccanismi che influiscono. Tra questi vi sono i sistemi elettorali perché non tutti favoriscono l’ascesa delle donne: solamente se è previsto un sistema proporzionale con liste bloccate che prevedono una quota di genere, vi è una maggiore probabilità che vi siano molte donne elette.

In Italia, ancora oggi, il fatto che una donna faccia politica è motivo di discussione e riflessione e le donne che assumono ruoli rilevanti sono ancora poche. Basti pensare al noto scandalo relativo l’invito del candidato sindaco Guido Bertolaso alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a “fare la mamma” perché incinta. Ricordiamo poi Virginia Raggi, eletta lo scorso giugno sindaco di Roma, prima donna a ricoprire questa carica dalla fondazione della città.

Essere donna non è sicuramente sinonimo di “essere un buon politico”, ma i dati mostrano chiaramente che è necessario riportare la situazione a una condizione di equilibrio: bisogna infatti far uso di soluzioni temporanee speciali, come le quote rosa, per riportare pari opportunità nel campo della politica. È necessario fare in modo che anche per le donne sia una concreta possibilità il raggiungimento di ruoli dirigenziali, senza che vi sia un genocidio che riporti un equilibrio di genere, ma introducendo provvedimenti e servizi che aiutino la donna durante la sua carriera, cercando anche di modificare la concezione relativa al suo ruolo sociale “per natura”.

Fonti immagini:

  1. Wikimedia Commons
  2. http://www.bradhamann.com/images/editorial/ceiling.html

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