Italiani in Crimea: storia di un massacro dimenticato

Uno dei problemi più grandi, una delle parti più tristi, nel contesto dei crimini contro l’ umanità del secolo scorso è che, nella moltitudine delle tragedie, alcune nefandezze sono passate in secondo piano tanto da essere dimenticate o volontariamente occultate. E’ il caso della comunità di italiani in Crimea, il cui genocidio è stato formalmente riconosciuto solo nel 2015, grazie alla testimonianze dei discendenti dei sopravvissuti.

La comunità italiana in Crimea

La comunità italiana in Crimea (parte della Federazione Russa dal 2014) inizia a formarsi in seguito alle emigrazioni degli anni ’20 del 1800, braccianti e uomini di mare si spostano dalla puglia, in particolare dalle città di Trani e Bisceglie, per iniziare una nuova vita ad Est. La maggior parte di loro si stabilisce nella città di Kerč’, sul Mar Nero, dove si crea una comunità di 30 famiglie che inizia a costruire strutture di aggregazione. In seguito ad un afflusso di nuovi nuclei, composti anche da lavoratori specializzati e uomini qualificati, la comunità si allarga, inizia a popolare anche altre città, sia russe che ucraine. A Kerč’, un secolo dopo, circa il 2% della popolazione è composta da italiani immigrati e loro discendenti, una minoranza cattolica in un territorio totalmente ortodosso (a parte la minoranza musulmana dei tatari) che ha costruito le sue chiese, le sue scuole, la società corporativa, la biblioteca,  per perpetuare, lontano dalla patria, la sua cultura.

L’avvento del comunismo in Crimea

Con l’ avvento del comunismo, in contemporanea con l’ affermazione del fascismo in Italia però, la situazione è destinata a cambiare: accusati di filofascismo, gli italiani in Crimea ebbero due opzioni, la fuga o la persecuzione. Alcuni, via Costantinopoli, riuscirono a scappare, quelli rimasti andarono incontro a tempi duri. La forza omologatrice del regime non aveva intenzione di risparmiare nessuno: tutto il territorio della neo-nata Unione Sovietica, fu bolscevicizzato. Ad aiutare il partito in questo intento furono altri italiani, i comunisti italiani, per la precisione, che a loro volta cercavano asilo fuggendo dall’Italia fascista dove erano perseguitati. Questi vennero inviati a Kerč’ per educare in ottica stalinista la comunità che, così indottrinata, venne trasformata nel  kolchoz “Sacco e Vanzetti” guidato da Marco Simone.

Purghe e Deportazioni

Nel corso degli anni ’20 le fughe continuarono: la percentuale di italiani in Crimea scese fino a diventare il 1,3 %  della popolazione nel 1933. Con le purghe staliniane del ’35 e del ’38 verranno, infine, spazzati via tutti i sospettati di attività controrivoluzionaria, decimando così ulteriormente la popolazione. Dopo l’ invasione dei tedeschi, nel gennaio e febbraio del 1942, le deportazioni a livello intensivo nel gulag colpirono anche la comunità di Kerč’, i cui abitanti rimasti vennero caricati sui convogli e dispersi nella steppa tra Akmolinsk e Karaganda, dove vennero quasi totalmente sterminati dalle precarie e durissime condizioni di vita e dalle temperature fra i 30 e i 40 gradi sotto zero. I pochissimi risparmiati furono eliminati dalla violenza dei Cosacchi. Alla fine della guerra non esistevano più italiani in territorio russo, o meglio, ne esistevano una minima parte di quelli che vi risiedevano all’inizio della guerra e che, a loro volta, si curavano bene di nascondere le loro origini. Decimati, spaventati e dispersi, rimasero nell’ ombra fino al ritorno a Kerč’ sotto il governo Chruščёv.

I superstiti e il riconoscimento

La paura tenne i superstiti a lungo nel silenzio. Testimonianze raccontano di come, girando per le strade di quella che era stata la loro città per generazioni, questi si guardassero intorno con sospetto, timorosi di essere riconosciuti come italiani e per questo di nuovo perseguitati. Con il tempo, timidi tentativi di svelarsi per potersi riunire, hanno reso possibile il ri-consolidamento di un piccolo nucleo, l’associazione C.E.R.K.I.O. (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea – Italiani di Origine, presieduta da Giulia Giacchetti Boico), con l’ obbiettivo di far valere i diritti della comunità e di far vedere riconosciuto lo scempio subito. Nel 2014, il presidente Putin ha emanato un decreto per il riconoscimento dei crimini compiuti dal governo stalinista nei confronti delle minoranze etniche del territorio della Crimea, è stata compilata una lista comprendente il nome di 20 comunità, seguita dalla dicitura “e altre”, nella quale rientrava anche la comunità italiana. Allora l’associazione C.E.R.K.I.O. ha iniziato a mobilitarsi per vedere il nome della comunità italiana elencato. Grazie ad un fortunato e ben argomentato dialogo con il presidente Putin, durante una sua visita a Yalta gli interlocutori dell’associazione sono riusciti ad ottenere il riconoscimento tanto atteso. Un’ altra richiesta è stata il riconoscimento, da parte del governo italiano, della cittadinanza d’ origine, richiesta che però è stata trattata con meno diligenza e che per ora rimane un problema aperto.

Fonti

Treccani

 

 

 

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