L’effetto Dunning-Kruger

L’effetto Dunning-Kruger, dagli omonimi autori David Dunning e Juopravtin Kruger, si può definire come una distorsione metacognitiva, tale che individui poco competenti tendono a causa della propria incompetenza a sopravvalutarsi, mentre i soggetti più competenti, tendono a sottovalutarsi giudicando le proprie capacità come comuni e ordinarie.

 

Il lavoro condotto dai due ricercatori americani, valso loro anche il Nobel per la psicologia nel 2000, si articola in quattro ipotesi iniziali secondo cui :

  1. Individui incompetenti tendono a sovrastimare la propria abilità più di individui competenti.
  2. Individui incompetenti non sono abili a determinare il grado di competenza altrui.
  3. Individui incompetenti non riescono ad utilizzare le informazioni sulle scelte e le performance altrui per formare un giudizio accurato del proprio livello di abilità.
  4. Individui incompetenti possono aumentare la propria consapevolezza sulla loro scarsa abilità paradossalmente solo aumentando la propria competenza.

Dunning e Kruger decisero di provare le ipotesi formulate, attraverso quattro test su studenti dei primi anni di psicologia della Cornell University. Il primo studio indagava l’umorismo, abilità prettamente sociale, così che ai soggetti vennero sottoposte alcune barzellette, chiedendo loro di valutare quanto facessero ridere. Infine veniva chiesto loro di valutare la propria performance sul riconoscere il livello di umorismi. I risultati dimostrarono come sia i competenti che gli incompetenti tendessero a sovrastimare la propria performance. Tuttavia, al crescere della competenza, la differenza tra abilità reale e abilità percepita andava a diminuire, così che nei competenti la propria capacità fosse meno sopravalutata.

Il secondo test era incentrato sul ragionamento logico, attività più oggettiva dell’umorismo. I dati confermarono quelli del primo esperimento, a cui si aggiunsero quelli derivanti dall’indicazione personale degli errori commessi da ognuno dei soggetti sottoposti all’esperimento logico.

Il terzo studio si trattava di un compito grammaticale. La prima parte del test confermò i risultati dei primi due. Nella seconda fase venne, invece, chiesto a ciascuno degli interessati di valutare la prova di altri cinque di loro, senza conoscere ancora le risposte esatte. L’ipotesi era che più una persona avesse commesso errori nella propria prova, più avrebbe mostrato un deficit metacognitivo tale da assegnare voti sbagliati agli altri.  Dopo aver letto e votato le performance altrui si chiedeva al soggetto di rivalutare la propria performance. Nei risultati, come da previsione, emerse che – dopo il confronto- le persone con bassa abilità tendessero non cambiare la propria autovalutazione. I più abili, al contrario, erano portati a modificare il voto assegnatosi, per il false-consensus effect, secondo cui sulla base delle scarse informazioni sulle abilità altrui, tendevano a dare per scontato che queste fossero superiori alle proprie.

Il quarto e ultimo test mirava a valutare se un miglioramento dei più incompetenti nel ragionamento logico potesse permettere loro di migliorare la propria capacità metacognitiva e di valutazione di quali passaggi avessero compiuto correttamente e quali no.

A conclusione dei quattro studi, Dunning e Kruger affermarono che una carenza di metacognizione fosse il collegamento tra la bassa performance e la sovrastima della propria abilità. Questo perché bassi livelli di performance erano associati alla sopravalutazione della propria abilità, bassi livelli di performance a deficit di metacognizione, e dunque la mancanza di quest’ultima erano associata alla eccessiva coscienza della propria abilità.

Giunsero così al paradosso per cui il migliore modo per far riconoscere alle persone i propri errori e la propria ignoranza, sia renderli maggiormente competenti.
 “Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni”.
                                                                                                   Bertrand Russell

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