Nuvole erbose, bottoni di ciliegia: il racconto nascosto dentro una foto

Si nota quando il sole è estivo, perché il verde di un prato che dovrebbe essere all’inglese si apre a occasionali macchie steppose e asciutte, lasciando intravedere sprazzi della terra sottostante. Camminandoci scalzi, i fili d’erba rinsecchiti punzecchiano le piante dei piedi, che non sono solite gradire la sorpresa. Riesco quasi a sentirlo, quel profumo umido, accogliente, reso più concentrato dai raggi solari. Forse qualche ape avrà svolazzato pigramente in cerca di fiori, un refolo di vento avrà soffiato sfrusciante e qualche uccello si sarà librato in volo, stagliato contro un cielo sicuramente turchese.

Questa foto fu scattata a Memphis nel 1975 da William Eggleston, un pioniere della fotografia d’arte a colori. La sua storia si radica profondamente nelle piantagioni del Tennessee, e fu proprio grazie alle ricchezze di famiglia che poté fare della fotografia il suo lavoro, arrivando a scattarne quasi due milioni. Fu lui a donare al colore il riconoscimento artistico che meritava, a liberarlo dal mondo restrittivo della pubblicità, a cui era stato confinato fino ad allora. L’immagine è stata esibita insieme a molti altri suoi ritratti in una recente mostra al National Portrait Gallery di Londra, a cui ho avuto la fortuna di assistere in occasione del mio compleanno questo settembre. Adoro le esposizioni fotografiche, perché sembra di camminare per i corridoi e le sale dei ricordi di una persona, come se ci ritrovassimo all’improvviso – tutti rimpiccioliti – all’interno della sua testa, a sbirciare da dietro le palpebre.

Il fotografo, ormai settantenne ma ancora attivo con l’obiettivo, si presenta un po’ come un ladro di istanti. Sebbene molti suoi soggetti siano persone conosciute o familiari, altrettante sue opere scaturiscono da incontri fortuiti che stuzzicano la sua immaginazione, attizzato la sua fantasia.

Con le braccia aperte come un albatro in volo, Marcia Hare (questo il nome della ragazza che occupa quasi tutto lo spazio della foto) si gode i raggi che le lambiscono il viso e donano ai capelli un’aura ramata. Al centro della composizione, dove si incontrano le diagonali opposte del corpo e delle braccia, una fila di bottoncini rossi, in delizioso contrasto cromatico con il verde del prato dello sfondo. In una didascalia della mostra, un commento li aveva descritti come piccole gemme. I bordi dell’immagine sono leggermente fuori fuoco, a rafforzare l’atmosfera trasognata, come a incorniciare il volto che si gode beatamente il sole che lo accarezza.

Chissà quali foto si nascondono sulla pellicola della macchina fotografica stretta nella sua mano. Chissà quale situazione, quale momento di ispirazione ci fu dietro all’impulso che ha avuto il fotografo di muovere il polpastrello e immortalare questo istante, profonda espressione della semplice beatitudine che ci assale quando un raggio di sole ci sfiora in viso, e dona alle cose più banali un’aria di poeticità, come bottoni che all’improvviso diventano ciliegie.


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