Orfeo ed Euridice, un amore lungo i secoli

Questa volta non parleremo di un libro, o di un autore, questa volta il signore assoluto delle nostre riflessioni sarà il Mito: esatto, quello con M maiuscola, quello che affascina da secoli milioni di lettori. Sembra giusto cercare di capirne le motivazioni, anche se scegliere un criterio, per attraversare questo mare enorme di esperienze, di conoscenze, di tradizioni, sembra un’impresa impossibile.

Cominciamo dunque dall’inizio: l’uomo non sapeva rispondere ai grandi quesiti dell’universo, non c’era la scienza, non c’era la filosofia, l’unica possibilità era la fantasia, unita all’esperienza collettiva e alla cultura del popolo. I miti generalmente ci danno la visione del mondo elaborata da quella comunità, ci danno la possibilità di studiarla, di capirne le caratteristiche.

Mito e Letteratura sono perciò strettamente connessi, si influenzano a vicenda, in momenti difficili anche una tradizione letteraria matura si ispira al mito: muse, dèi, giovani fanciulle rapite, amori impossibili, ogni volta si ripropongono schemi consueti, sembra interessante quindi analizzare un mito in particolare per vedere come viene declinato nei vari secoli.

Partiamo da una storia che tutti conoscono ed amano. Orfeo ed Euridice. Chi, nonostante si conosca già il finale, non pensa comunque, con vane speranze “non girarti, Euridice è lì non girarti!”. Ma Orfeo puntualmente si gira, perdendo il suo amore per sempre.

Questa perla della mitologia classica non smette di ripresentarsi in diversi modi, declinata come espressione dell’amore che cerca di combattere la morte, come emblema della poesia che muove i celesti, ogni autore che la reinterpreta però, lo fa a modo suo, incurante molte volte, del mito originale.

L’esempio più calzante di reinterpretazione libera del mito sembra essere quella di Giovanni Boccaccio che nel “Filocolo”, un romanzo in prosa in cinque libri, inserisce nella narrazione dell’amore di Florio e Biancifiore un riferimento ad Orfeo ed Euridice, dandogli però un lieto fine sconosciuto. Orfeo infatti grazie alla dolcezza della sua cetra riesce a impetrare presso le divinità infernali, che gli concedono di riavere la donna amata. Boccaccio, come  aveva gia fatto Petrarca, non accetta l’epilogo originale e decide di cambiarlo definitivamente.

L’appena citato Francesco Petrarca, nel “trionfo d’amore” aveva deciso di portare un personaggio di  Orfeo come esempio della Passione che non muore mai: egli la segue persino all’inferno e impazzisce dopo aver preso consapevolezza di averla persa per sempre. Ma Petrarca non parla della morte di Orfeo presso le baccanti che ne dilanieranno il corpo, quasi a voler eliminare una morte così poco dignitosa per un amore così potente da sfidare la morte (e purtroppo perdere).

Il nostro excursus continua passando per il Poliziano che riprende interamente il mito con la “Fabula di Orpheo” ma stavolta non cambia, viene reso esattamente nella sua forma originale, come se ormai l’uomo fosse pronto ad accettare i risvolti negativi della vita. Gli studiosi hanno interpretato questa visione di Poliziano come un perdita di fiducia della poesia, non lo modificherebbe quindi perché, a differenza dei suoi predecessori, non ritiene la letteratura una forza così potente da poter vincere la violenza, probabilmente il contesto sociale e politico dell’epoca ha influenzato il pensiero dell’autore, la sua amata Firenze, anche allora culla della letteratura, non era in grado di combattere la violenza al suo interno.

Prendere Orfeo ed Euridice ad esempio di come i miti vengono riutilizzati nella letteratura, ha lo scopo di mostrare che certe storie non muoiono mai: non si sono riprese altre fonti letterarie  per motivi di spazio ( per non citare anche tutte le rappresentazioni figurative), ma pensando a tutti i miti che conosciamo, basandoci sulle riprese di Boccaccio, Petrarca e Poliziano, si nota facilmente che tutti i racconti che hanno ispirato la letteratura nel corso dei secoli, sono storie di amori impossibili; l’esempio di Orfeo ed Euridice era solo uno dei tanti, si potevano citare Piramo e Tisbe che sono gli antecedenti dei  “Romeo and Juliet” shakespeareani, il ratto di Proserpina che viene ripreso da Poliziano, da Chaucer e da moltissimi autori francesi rinascimentali…

Perché si riprende l’amore? Perché i grandi autori hanno deciso di riprendere la storia di Orfeo e non, per fare un esempio, quella di Meleagro o Ermafrodito, nonostante la loro bellezza e complessità?

Domande che posso portare a nuovi quesiti, bisognerebbe analizzare il contesto storico in cui ogni mito ha avuto fortuna, la disposizione della società ad accettare, seppure in maniera letteraria, la ripresa di un mito in cui l’uomo è sottoposto alla donna o in cui uomo e donna si mescolano un tutt’uno…

In conclusione possiamo solo dire che il mito è un’estensione della fantasia umana, nell’antichità si era forse più liberi di immaginare, meno costrizioni che non nel Medioevo, meno conoscenze scientifiche che non nel periodo cinquecentesco… In mancanza di possibilità fantasiose la letteratura si rifà all’antichità dove tutto si spiegava con il mito, ma di fatto con la fantasia, la base di una storia perfetta,  che si prolunga nel tempo e cambia a seconda delle epoche, ma è sempre lì, ad aspettare di essere utilizzata, sempre nell’ombra, ma non troppo.

 

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