I Mattafix e quello che c’è da sapere oltre a “Big City Life”

di Barbaro

2005. Un duo hip-hop fino a quel momento sconosciuto scala le classifiche con una canzone. Un tormentone a tutti gli effetti. Sono i Mattafix, composti dal cantante Marlon Roudette e dal produttore Preetesh Hirji. La canzone è “Big City Life”, secondo brano dell’album Signs of a Struggle. Pochi sanno che in verità il primo singolo ad essere estratto dal quel disco era già stato “11.30 (Dirtiest Trick in Town)”, che però non ebbe alcun successo, nonostante sia uno dei brani più azzeccati in un disco orecchiabile e, per di più, niente affatto commerciale o scontato.

E che la loro canzone di maggior successo abbia dato un’idea eccessivamente pop dell’intero lavoro e della band in sé lo si capisce fin dall’inizio, con “Gangster Blues”, brano del tutto inaspettato. Si mantiene una cadenza anche qui molto malinconica, che d’altronde rimarrà presente nel resto del disco. Finché Roudette non trasforma la voce per un’ultima strofa rap, le precedenti rimangono più nell’alveo dell’R&B: è uno schema che si ripete in diversi pezzi dell’album, che si rivela essere un opera valida ed interpretata molto bene dai due artisti. Sicuramente non passerà alla storia, ma rimane un lavoro di tutto rispetto, con una produzione eccellente ed efficacissima nella sua semplicità.

Giunge poi la celebre “Big City Life”, che tutto sommato è coerente con l’impostazione del brano precedente, ma aggiungendovi un ritornello più coinvolgente. La successiva “Passer By” è invece la traccia scelta come singolo chiamato a confermare il successo conseguito da “BCL”. Il peso è evidentemente eccessivo per un brano forse troppo lento per il pubblico, tanto che probabilmente molti ascoltatori li avevano considerati già in declino. Ne fu la prova il video musicale girato per “Cool Down the Pace”, un brano dalle sonorità più reggae, ultimo nella tracklist di Signs of a Struggle, che non venne quasi considerato e passò in sordina.

Il problema di questa band, definita troppo facilmente pop, è forse proprio stato il non essere pop a sufficienza. Nel frattempo, c’è da dire comunque che i Mattafix sono riusciti a fare un tour con Joss Stone in Inghilterra, per poi farne uno proprio a livello mondiale, girando 30 paesi in 18 mesi.

Senza dubbio, colpa è stata anche del fatto che l’R&B ancora non tirava né attirava, dal momento che l’attenzione della gente era rivolta, almeno in Italia, a un rock-pop a chilometro 0, e infatti il singolo più ascoltato quell’anno fu “I bambini fanno ‘ooh…'” di Povia, seguito dagli Sugarfree, Ramazzotti, gli Zero Assoluto, Nek ed Elisa; oppure, era rivolta ai classici bellocci o dive del pop anglo-americano (Madonna, Backstreet Boys, Robbie Williams), legati ancora agli anni ’90 più che ai 2000. I Mattafix furono gli unici nelle classifiche di quell’anno a non corrispondere a nessuna di queste due categorie. Il resto del mondo, invece, aveva già iniziato il suo flirt con la musica elettronica e la dance che poi sono finite per sporcarsi e diventare una base per numerose canzoni pop degli anni a venire (Chemical Brothers, Axel F, Bob Sinclair).

Il duo britannico non trova spazio in questi tempi. Eppure il loro primo disco, musicalmente, fila liscio come l’olio. Si ascolta con piacere e si fatica a trovare un brano che si possa definire debole. In particolare “The Means”, “Impartial” e la già citata “11.30” hanno delle basi molto azzeccate e, senza doversi mai sforzare troppo, Roudette trova ottime idee per le linee di voce. Il risultato è un disco compatto e ben strutturato. Nulla di stravolgente, si ripete, ma forse non fu considerato a sufficienza perché non abbastanza ballabile.

Da sempre, tra l’altro, sono stati impegnati nel sociale, in particolare a favore dei diritti umani in Darfour, e questo ha influenzato concettualmente e stilisticamente (in parte) il loro percorso musicale nell’album successivo.

Sì, i Mattafix hanno fatto un altro disco, Rythm & Hymns, promosso inizialmente dal singolo “Living Darfour”, che è riuscito a trovare il suo spazio nei cuori delle persone. Si tratta di un lavoro abbastanza coerente, con brani forse di livello inferiore a Signs of a Struggle, ma sempre gradevoli, perché sempre impregnati di un senso di pace e tranquillità. Se nel primo disco non si sfociava mai in canzonette pop, questa volta, ascoltando ad esempio “Angel” e “Got to lose”, ci si accorge che il valore di alcuni brani è calato gravemente.

Poi i Mattafix si sciolgono. E non ci sono notizie sui motivi di tale separazione. Marlon Roudette tornerà nel 2011 con un album da solista che, come si può intuire dal titolo, Matter Fixed, finisce per essere una versione scopiazzata (male) di quello che faceva prima con Preetesh Hirji, soprattutto senza mai ritrovare basi musicali di quel livello.

Peccato non ci siano più. Si sopravviverà tranquillamente, per carità, ma mancheranno come simbolo di una musica pop spontanea, che è riuscita, grazie anche alle capacità del produttore del duo, a rendersi indipendente dalle richieste del mercato discografico e dagli standard di ballabilità e orecchiabilità.


Credits: foto1 foto2  foto3

Fonti: Wikipedia, Hit Parade Italia, Marlon Roudette, MTV.

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