L’uomo che non è fatto per la sconfitta: Ernest Hemingway

Ernest Hemingway è stata una delle figure più affascinanti e dibattute della letteratura americana. Ancora oggi si parla delle sue opere, ma ciò che lo rende unico rispetto agli altri scrittori è il fatto che lui stesso fosse un’opera vivente. Amato e controverso: era Ernest l’ubriacone, Ernest l’eroico, Ernest della verità dalle frasi brevi e sincere e infine l’Ernest che si sparò una pallottola in bocca. Ma possiamo davvero ridurre Hemingway a questi stereotipi?

Senza dubbio fu l’uomo più coraggioso del suo secolo. Sfido a trovare un altro scrittore tanto appassionato alla vita quanto ossessionato dalla morte e dalla violenza. Si racconta che nel 1915, all’età di 16 anni, Hemingway stesse facendo una gita in barca con la sorella Sunny quando vide un bellissimo airone azzurro a terra e provò un forte desiderio di possederlo. Così prese il fucile e gli sparò. Ecco Hemingway: tutto passione e certezza. Così sono i suoi libri, veri, profondi, appassionati e mai illusori. Se la vita fa schifo, lui te lo dice guardandoti negli occhi.

In una famosa scena di Midnight in Paris diretto da Woody Allen, c’è un giovane Hemingway (alias Corey Stoll) che pone la fatidica domanda ad Owen Wilson:

https://www.youtube.com/watch?v=fDHolnUim3I

L’essenza di Hemingway: amore e morte. E non è forse questa l’essenza dell’intera umanità? Senza avventura Ernest non può vivere, ma nemmeno senza la scrittura. La sua cara amica e mentore Gertrude Stein, poi diventata “una vecchia acida e invidiosa”, una volta disse:

“Compito dell’artista non è soccombere alla disperazione, ma trovare un antidoto per la futilità dell’esistenza.”

L’antidoto per Hemingway è sempre stata la vita stessa. Le donne, i vizi, l’alcol (soprattutto lo champagne, che adora) e gli atti eroici, naturalmente. Al di fuori di questo suo cerchio magico ci sono solo la morte e la disperazione pronte a tendergli un agguato. Eppure lui non è disposto a mollare. Soffre la povertà, a volte può permettersi solo qualche mandarino e un po’ di kirsch, viene ferito in guerra, è deriso e accusato di utilizzare un linguaggio rozzo, viene spiato, pedinato, messo costantemente sotto pressione. E lui per tutta risposta continua ad essere se stesso più che può. Vive con foga, ama con furore, gode degli eccessi e si sente libero di fare e dire ciò che pensa.

 

Italo Calvino scrive di lui: “Hemingway ha capito qualcosa di come si sta al mondo a occhi aperti e asciutti, senza illusioni né misticismo, come si sta soli senza angosce e come si sta in compagnia meglio che soli“. Ora bisogna riflettere bene e capire quanto profondo e tormentato può rivelarsi a volte l’animo umano. Ernest, che passa da una moglie all’altra, che litiga con tutti i suoi amici scrittori, che rompe rapporti continuamente e scappa in paesi lontani. Ernest dai mille volti: cacciatore, boxeur, militare, celebrità, premio Nobel, amante, nonno affettuoso, ci ha messo un’intera vita per capire che da solo non valeva nulla. In fondo non bastava a se stesso come aveva sempre voluto far credere. La verità è dura da accettare come epilogo di una così avventurosa vita, ma Hemingway non ha mai avuto paura della sincerità e proprio per questo ci lascia una sorta di testamento da leggere e rileggere. Hemingway contribuisce a rendere proverbiale una delle più belle poesie di John Donne, messa in epigrafe a Per chi suona la campana del 1940:

Nessun uomo è un’Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te.

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crediti: copertina, immagine 1,

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