“Il bugiardo” di Carlo Goldoni al Teatro Carcano di Milano

Martedì 4 aprile presso il Teatro Carcano di Milano è andato in scena Il bugiardo di Carlo Goldoni, rappresentato per la prima volta a Mantova nel 1750 e stampato poi a Firenze qualche anno dopo, nel 1753. L’opera in tre atti è ispirata alla Verdad sospechosa dello spagnolo Juan Ruiz de Alarcòn. La commedia è diretta da Alfredo Arias, uno dei più importanti registi internazionali, argentino naturalizzato francese.

A Venezia vivono Rosaura (Marianella Bargilli) e Beatricia, le due splendide figlie di un dottore in età da marito. Lelio (Geppy Gleijeses) è un donnaiolo napoletano intenzionato a conquistare il cuore di Rosaura avvalendosi del proprio talento nell’inventare bugie, da lui chiamate “meravigliose invenzioni”. Inizialmente il piano sembra funzionare, soprattutto perché l’uomo racconta di aver cantato una serenata effettuata invece da un’altra persona, Florindo, troppo timido per dichiararsi a Rosaura. In seguito invece le menzogne diventano troppo strampalate per essere credute, come quella secondo cui Napoli si troverebbe in Lombardia, e il Bugiardo perderà tutto, compresa la stima del proprio padre e la mano di Rosaura.

Carlo Goldoni ha effettuato una straordinaria riforma del teatro. Prima del suo intervento in Italia era in voga la Commedia dell’Arte, il teatro delle maschere italiane che recitavano senza un copione predefinito, improvvisando seguendo come traccia un canovaccio. Ne conseguiva che le maschere erano piatte, stereotipate e prive di spessore psicologico inoltre, in seguito all’eccessivo spazio lasciato all’improvvisazione, spesso la trama si intricava creando situazioni senza soluzione e doveva intervenire un deus ex machina per offrire una lieta conclusione della vicenda. Goldoni introduce una sceneggiatura teatrale completa e definita, in cui i personaggi hanno caratteristiche realistiche e una psicologia articolata, in modo tale da ricreare scene più vicine al quotidiano. Ne Il bugiardo le maschere (Pantalone, Brighella, Arlecchino e la maschera che introduce i personaggi nel prologo e canta in alcune scene) non hanno perso la propria energica comicità antica ma hanno tratti più umani. E’ invece assente rispetto alla sceneggiatura originale il personaggio di Colombina.

La morale della commedia potrebbe essere riassunta con il celebre detto “Le bugie hanno le gambe corte”, infatti le menzogne si ritocono contro Lelio, facendo fallire i suoi piani. L’opera sarebbe un romanzo di formazione in quanto il Bugiardo è costretto a pagare per le proprie malefatte ed evolve nel corso della vicenda, ma tale aspetto è in secondo piano rispetto alla comicità generale. Le bugie di Lelio tuttavia sono estremamente creative (il personaggio stesso afferma che le sue poesie hanno successo in quanto ha la fortuna di essere un creativo) e favolistiche, pertanto la commedia celebra la gioia di avere una visione romanzesca della vita per opporsi all’insopportabile monotonia del quotidiano, anche quando ciò comporta dire qualche menzogna e venire inevitabilmente smascherati. Lelio può dunque essere paragonato ad uno scrittore di una commedia umana.

Alla commedia originale sono state apportate alcune modifiche. Innanzi tutto l’opera non è stata recitata in dialetto veneziano ma in italiano. I vari personaggi avevano l’accento della provincia di provenienza: Lelio parlava con un accento napoletano, Pantalone, il padre di Lelio, aveva invece una cadenza veneziana, l’amante di Lelio parlava con una forte pronuncia romanesca, Arlecchino aveva un accento bergamasco.

Nella commedia si finge inoltre che una compagnia d’attori stia effettuando le prove dello spettacolo. I vari attori compaiono dunque in scena vestiti con abiti comuni  e gradualmente si cambiano, travestendosi con i costumi di scena. Anziché inserire un intervallo al termine del primo atto, gli attori interrompono la recita della commedia e fingono di conversare sul palcoscenico, facendo battute e proponendo di realizzare un’opera dal sapore contemporaneo, che tratti per esempio di tematiche moderne. E’ interessante notare come gli attori cambino movenze e impostazione della voce nell’interpretare delle persone comuni, che si discostano profondamente dai personaggi della commedia goldoniana. Nel prologo la maschera presenta gli attori come i membri della famiglia Cannavacciuolo, una compagnia famigliare, e gli spettatori che non hanno letto la locandina sono portati a credere che gli artisti in  scena appartengano realmente a tale compagnia.

Le scenografie sono semplici ma efficaci: uno fondale dipinto di un paesaggio veneziano e degli edifici abbozzati da palafitte di legno verticali. Scenografie e costumi sono firmati da Chloe Obolensky, artista di fama internazionale, che ha lavorato a lungo con Peter Brook.

Lo spettacolo è eccellente, verrà apprezzato dallo spettatore soprattutto per la frizzante comicità. Sarà in scena fino al 9 aprile.


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