Andrej Sacharov e i diritti umani, una lotta ancora attuale

Cosa significa lottare per i diritti umani? E cosa bisogna sacrificare per tutelare questi diritti? Andrej Sacharov, noto fisico accademico, pioniere della bomba all’idrogeno e figura centrale del dissenso in Unione Sovietica, ne diede un chiaro esempio: i meriti che ottenne in campo umanitario e sociale sono a tal punto noti in tutti il mondo, che è stato indetto dal Parlamento Europeo il Premio Sacharov per la libertà di pensiero nel 1988.

Andrej Sacharov è stato una figura di fondamentale importanza per il dissenso, un movimento privo di un impianto organizzativo o istituzionale, sostenuto da saldi princìpi morali e di notevole rilevanza per la diffusione di informazioni attendibili in Unione Sovietica, nonostante la censura. Attraverso la sua lotta non violenta alla linea ufficiale, Sacharov ha contribuito a far sì che la mentalità del regime sovietico si scardinasse, per approdare alla sua caduta nel 1989.

Dopo aver completato gli studi universitari e aver lavorato al servizio del suo paese durante la Seconda guerra mondiale in qualità di scienziato, venne coinvolto sul finire degli anni Quaranta nel progetto riguardo lo sviluppo della bomba all’idrogeno. Gli anni che avrebbe poi trascorso lavorando al progetto lo avrebbero reso un’autorità nel campo scientifico e, al contempo, lo avrebbero fortemente influenzato nella sua visione complessiva della pericolosità di una guerra termonucleare, da lui considerata «metodo di suicidio universale».

Brillante fisico, insignito più volte dal suo paese di riconoscimenti e premi, Sacharov era uno dei pochi del suo ambiente a guardare con occhio sempre più preoccupato ai successi degli esperimenti termonucleari in Unione Sovietica e nel mondo, considerandoli un enorme pericolo per la salvezza dell’umanità. Riassunse le sue riflessioni a riguardo nel suo articolo Considerazioni sul progresso, la coesistenza e la libertà intellettuale del 1968, che costituì un punto di non ritorno per la sua carriera e la sua vita. Da quel momento, infatti, venne escluso dagli esperimenti sull’ordigno termonucleare: il prezzo da pagare per idee molto lontane dalla mentalità ufficiale.

Il suo avvicinamento al dissenso avvenne in quel punto di rottura tra l’apice della sua carriera e la crescente inquietudine per la salvaguardia del pianeta e per le inevitabili, incalcolabili vittime degli esperimenti termonucleari: questi, infatti, non costituiscono un pericolo soltanto attraverso le esplosioni, ma anche, a lungo termine, attraverso le radiazioni. Gli anni più attivi e più pericolosi per Sacharov furono gli anni Settanta, periodo in cui iniziò ad esporsi concretamente in difesa dei diritti civili ed umani, forte della sua autorità riconosciuta ormai a livello internazionale.

Come scrisse Marta Dell’Asta nel suo libro Una via per incominciare (edizioni La Casa di Matriona, Milano 2003), egli

“[…] lasciandosi progressivamente conquistare dal gusto della libertà di coscienza e dal senso di responsabilità, sacrificò consapevolmente carriera, interessi scientifici, stipendio e posizione sociale”.

Questa scelta, di per sé molto dura, fu notevolmente complicata dagli ostacoli che Sacharov incontrò lungo il suo cammino: lui e la sua famiglia, infatti – in particolare la seconda moglie Elena Bonner – furono ripetutamente minacciati. I Sacharov divennero vittime dello Stato, continuamente vessati dagli agenti del KGB che sfruttava qualunque motivazione per infierire psicologicamente su di loro. Ciò che più rese dura la vita di Andrej Sacharov fu l’accanimento dello Stato e dei suoi organi sui suoi cari, una parte dei quali costretta all’espatrio, per piegare lui.

Gli anni Ottanta furono gli anni dell’esilio a Gor’kij, luogo in cui si decise di relegare Sacharov e, diversi anni dopo, la moglie Elena Bonner affinché non avessero contatti col mondo occidentale, dei cui corrispondenti i coniugi si valsero spesso per diffondere oltreconfine appelli e cause umanitarie e civili. A Gor’kij Andrej Sacharov rimase fino al dicembre del 1986, quando si decise di liberarlo assieme alla moglie. La sua attività in difesa dei diritti umani, che non si spense mai, riprese vigore e vi si affiancò quella politica, campo in cui la voce di Sacharov iniziò a suscitare fastidi. Nonostante il grande consenso da lui riscontrato in Unione Sovietica, Michail Gorbačëv e le alte sfere del partito non lo guardarono mai di buon occhio ed è questa considerazione a gettare un’ombra sulla sua improvvisa scomparsa nel 1989, proprio all’apice del suo successo politico.

Il sacrificio di Andrej Sacharov in difesa dei diritti umani gli valse il Premio Nobel per la Pace del 1975 e l’istituzione, da parte del Parlamento Europeo, del Premio Sacharov per la libertà di pensiero del 1988. Questi riconoscimenti hanno assunto un profondo significato sia durante la vita di Sacharov che ai giorni nostri.

Premio Sacharov

Il Premio Sacharov, come riportato sul sito del Parlamento Europeo, viene assegnato

“[…] a persone che abbiano contribuito in modo eccezionale alla lotta per i diritti umani in tutto il mondo e attira l’attenzione sulla violazione dei diritti umani oltre a sostenere i vincitori e la loro causa.

Tale premio ha tuttora valore considerando, per esempio, il caso delle due giovani yazide che nel 2016 ne sono state vincitrici.

Le due giovani, Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, originarie di Kocho (nel nord dell’Iraq), furono rapite e divennero vittime della schiavitù sessuale perpetrata dallo Stato Islamico. Hanno vinto il Premio Sacharov il 27 novembre 2016 poiché si sono distinte per la loro lotta in difesa dei diritti umani, vincendo sui finalisti Can Dündar, un giornalista turco arrestato ad Ankara ed esiliato, e Mustafa Dzemilev, tataro ex dissidente, leader del movimento dei tatari di Crimea e che fu sostenuto durante i processi a suo carico da Sacharov stesso. Lamiya Bashar è stata sfigurata da una mina mentre tentava di mettersi in salvo dalle mani dello Stato Islamico e, assieme a Nadia Murad, era già diventata portavoce della causa degli yazidi, una minoranza etnica nei confronti della quale, secondo Murad, è in atto un vero e proprio genocidio; Murad si sta, infatti, battendo affinché vi sia a tutti gli effetti un riconoscimento di tale crimine. Compagna di classe di Bashar, Nadia Murad era già stata nominata ambasciatrice delle Nazioni Unite nel settembre 2016.

Cosa attendersi dalla lotta per i diritti umani? Ciò che finora possiamo considerare è la necessità che vi siano persone che, come Sacharov, hanno messo in gioco la propria vita per tale scopo. La vicenda delle due giovani yazide sembra ricordarci che l’umanità, nel bene e nel male, non cambia.

Fonti:

  • ilfoglio.it;
  • ilgiornale.it;
  • www.europarl.europa.eu;
  • Dell’Asta M, Una via per incominciare, Edizioni La casa di Matriona, Milano 2003;
  • Sacharov A.D., Progresso, coesistenza e libertà intellettuale, ETAS KOMPASS S.p.A., Milano 1968

 

Crediti immagini: immagine 1, immagine 2

La Repubblica.it

https://en.wikipedia.org/wiki/Andrei_Sakharov

 

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