La casa di Ilde

Ilde camminava a passi lenti vicino a quel muro d’infanzia pieno di sole.

Un sole di un’estate ancora acerba, tiepido ma tanto accecante che, dopo anni al buio, quello schiaffo di luce le bruciava il viso.
Percepiva ogni cosa al grado più alto, i suoi sensi erano ormai preparati al più piccolo suono nel più piccolo spazio, cosa avrebbe dovuto farci ora con tutti quei metri di cielo?
Il cuore non le avrebbe retto, si diceva, come contenere tutto quell’esistere?
Quando finalmente si era decisa ad uscire, era convinta di dover procedere con estrema lentezza, stretta stretta al muro amico.
E’ come quando manca l’acqua per tanti giorni, sempre meglio dissetarsi adagio adagio; cosi voleva entrare nel mondo Ilde, come l’acqua che si strizza da un panno: con sofferenza, goccia a goccia.
Tutto era atteso da mesi ormai, tutto aveva ricominciato a girare come lo aveva lasciato, con una quasi agghiacciante normalità.
Persino il vento era calmo, portava con sé la notizia che dal fornaio c’era già il pane caldo, che il ciliegio fioriva anche tra le macerie e ormai sanguinava con lei, e che i bambini erano scesi tutti in strada, tanti, verso i soldati, con i carri armati caricati a liquirizia.
Tutto era docile e lento mentre il cuore di Ilde impazziva per ricomporsi, avrebbe mai ritrovato i pezzi?
I piedi nudi schivavano vetri rotti e ferro fino ad affondare caldi sul terriccio di un grande vaso andato in pezzi, con una mano arriva a raccoglierlo e lo strofina, frenetica, sul corpo, e sul viso, e tra i capelli.
Voleva una macchia, l’abitudine l’aveva portata a riconoscersi solo con una colpa dipinta sul suo corpo.
Ma Ilde non era più sporca,
non aveva più macchie,
non aveva più colpe.
Roma non era mai stata tanto bella, Ilde ormai la correva tutta, le lacrime non facevano in tempo a scendere che le si perdevano rapide nel vento.
Tornò a casa solo a notte fonda, scrisse poche parole.

“Libera. Libera. Libera.
Ho il cuore prigioniero di un ombra, ma sono finalmente libera.
Il mio animo non avrà mai pace, ma la guerra è finita.

Roma, giugno 1944

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