No, il titolo non vuole essere esagerato o iperbolico; e nemmeno falso. Il capoluogo meneghino ha infatti molte più cose in comune con la capitale francese di quanto si pensi: e queste somiglianze si devono proprio a Napoleone Bonaparte, l’imperatore francese.
Come è noto, Napoleone nel suo impero aveva costituito il Regno d’Italia, di cui lui stesso era il Re, un primo tentativo di unificazione della Penisola dopo secoli che, insieme alla Francia e alla regione corrispondente oggi alla Germania, costituiva le tre macroaree di tutto l’Impero. Ecco perché Milano divenne una delle tre capitali imperiali, insieme a Francoforte e, ovviamente, a Parigi. Nella città lombarda l’Imperatore arrivò nel 1796 e qui, nel 1805, si fece incoronare Re d’Italia indossando la celeberrima Corona Ferrea gelosamente custodita ma concessagli con onore dai monzesi (e a Monza oggi si trova, come potete leggere qui). Milano e non Roma, perché al Corso la città eterna proprio non piaceva, aggravata dal fatto che in essa risiedeva il Papa.
Napoleone trovò una città già molto moderna e all’avanguardia, sicuramente più pulita ed evoluta della decadente Parigi ereditata da Luigi XVI – e stravolta dalla Rivoluzione e il periodo del terrore – per cui gli fu più facile creare, in sostanza, tre grandi progetti che ne modificassero l’assetto urbanistico. La realtà ci mostra che quei progetti furono realizzati in parte o per niente, un po’ perché troppo dispendiosi un po’ perché già nel 1814, privo di ogni potere, lasciò la città. Ma molto del centro storico milanese deve il suo odierno assetto all’imperatore francese. A cominciare da foro bonaparte, la piazza a lui intitolata, così magnificente e simmetrica, con quelle larghe vie che ad esso portano e gli edifici a semicerchio maestosi che circondano il Castello Sforzesco. In realtà, il Bonaparte non l’aveva pensato proprio così. Più trionfali, avrebbero dovuto esserci due porte su modello di quelle di Porta Venezia (il cui assetto odierno sempre a lui è dovuto) e avrebbe voluto classicheggiare l’esterno del Castello con marmi, colonne e un frontone. Ma il progetto era troppo dispendioso per una città cui aveva già aumentato le tasse (ma comunque in crescita) e, quindi, vi rinunciò.
Ma non abbandonò, invece, il progetto della via francigena (appunto, la strada che da Milano portava a Parigi), l’odierno Corso Sempione e all’Arco della Pace, un progetto da lui iniziato e quasi finito. Nato per celebrare il matrimonio tra Augusta di Baviera e il suo figlio adottivo, Eugenio Beauharnais – viceré d’Italia – l’arco embrionale era realizzato prevalentemente in legno ed era posto in Corso Venezia. Visto il grande successo che ebbe tra i cittadini, si decise di spostare il monumento in un luogo più adatto, dove si trova oggi, e di renderlo marmoreo. Arco e assetto urbanistico della zona a lui circostante, compreso lo stesso corso Sempione, furono realizzati su modello dell’Arco di Trionfo e della maestosa via che a lui porta, a Parigi. La trionfale opera di marmo fu commissionata a Luigi Cagnola e avrebbe rappresentato la vittoria di Jena contro la Prussia, le cui vicende sarebbero dovute essere rappresentate nei suoi altorilievi. I bronzi rappresentanti i cavalli rappresentavano, poi, l’esercito francese. Purtroppo per Napoleone, però, ad opera quasi conclusa le fortune vennero meno e l’Arco fu ripreso dagli austriaci quando Milano divenne Capitale del Regno Lombardo-Veneto. Gli Asburgo modificarono il significato del monumento, dedicandolo alla pace e all’equilibrio in realtà molto precari (il Concerto Europeo) cui si era giunti dopo il Congresso di Vienna, l’Età della Restaurazione. Gli austriaci non mancarono, inoltre, di sbeffeggiare Napoleone e la Francia sconfitta: furono proprio loro a ruotare di 180 gradi le statue in bronzo dei cavalli sovrastanti l’arco, cosicché sulla via francigena non mostrassero i musi ma… il fondoschiena! L’ultima modifica fu realizzata nel 1859, con la disfatta dell’Austria e il trionfale ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e Napoleone III, nipote del primo. Fu questo il momento in cui l’Arco della Pace divenne simbolo dell’indipendenza raggiunta della città meneghina, e in questo momento furono aggiunte le frasi scolpite in basso rilievo che possiamo leggere ancora oggi:
“Entrando coll’armi gloriose / Napoleone III e Vittorio Emanuele II liberatori / Milano esultante cancellò da questi marmi / le impronte servili / e vi scrisse l’indipendenza d’Italia / MDCCCLIX” e “Alle speranze del Regno Italico / auspice Napoleone I / i Milanesi dedicarono l’anno MDCCCVII / e francati da servitù / felicemente restituirono / MDCCCLIX”.
E’ ormai noto che Napoleone fosse un abilissimo ladro di opere d’Arte. Ne portò tantissime al Louvre Parigino nel corso dell’Impero francese, molte delle quali italiane – comica è quella immagine che gira su Facebook, rappresentante come sarebbe il Louvre senza opere nostrane: vuoto!
Lo stesso fece quando modificò la Pinacoteca di Brera per renderla un Louvre milanese: la sistemò e la arricchì di opere sottratte ad altri musei italiani e questo fu una fortuna per il museo e per Milano, perché ancora oggi è uno dei musei più ricchi e completi d’Italia, all’interno della quale possiamo ammirare tantissime opere dei più grandi artisti come Piero della Francesca o Caravaggio. Testimonianza delle modifiche effettuate da Napoleone a Brera è proprio una sua statua nel cortile dell’Accademia.
E’ quindi chiaro che, a differenza della moglie che la considerava provinciale, Napoleone fosse innamorato follemente di Milano. Sempre, tranne d’estate. Il Bonaparte aveva infatti presto scoperto che da fine maggio ai primi di settembre il capoluogo lombardo è estremamente caldo, una temperatura aumentata anche dal clima fortemente umido. Perciò, per sfuggire al calore, da una parte piantò un enorme numero di Platani che possiamo ammirare ancora oggi e che causano quel fastidioso polline a primavera; dall’altra, decise di rifugiarsi a Monza più fresca anche grazie al polmone verde datole dal suo immenso parco, a cui l’Imperatore poteva facilmente accedere grazie alla Villa Reale sottratta agli Asburgo. Per collegare le due città modificò una via rendendola ancora oggi tra le più grandi e importanti della città: Corso Venezia (che continua, dopo Porta Venezia, in Corso Buenos Aires, Viale Monza e Viale Brianza). La magnificenza di questa enorme via, larga a livello di strada era resa dalla presenza dei bellissimi edifici neoclassici, robusti, colorati e possenti che egli vi fece costruire: ancora oggi, passeggiare da Corso Buenos Aires fino a Piazza San Babila, dove termina Corso Venezia, è tra le cose più suggestive e belle da fare a Milano.
Infine, una piccola modifica Napoleone la effettuò anche su Palazzo Reale, il monumento che oggi ospita le più grandi e importanti mostre della città. Una residenza simbolica per il legame Milano-Francia: fin dall’epoca sforzesca, infatti, quando Milano entrò nella sfera francese prima di cadere sotto gli spagnoli, molti Re d’oltralpe nelle loro visite meneghine soggiornavano in questo edificio, e lo stesso Francesco Sforza lo preferì al Castello Sforzesco – più militare – perché voleva rendersi simile alle altre magnifiche ed eleganti corti rinascimentali, italiane e non. E così, mentre la moglie Giuseppina aveva preferito soggiornare nella Villa Reale di Palestro (che oggi ospita la Galleria d’Arte Moderna) dove peraltro faceva venire anche il suo amante, Napoleone modificò l’interno del Palazzo creando una sala pubblica per ricevere gli ospiti e per gli affari pubblici, e una privata per lui. E, se oggi lo chiamiamo Palazzo Reale, è per volere dell’Imperatore, che gli diede questo nome dopo che fino a quel momento era chiamato Regio-Duca Palazzo.
La Milano napoleonica, quindi, è un percorso interessante da fare se si è turisti curiosi, amanti di Parigi o cittadini che poco conoscono della propria città.
FONTI:
Ilgiorno.it
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