Una casa senza insetti

K. era soddisfatto del suo nuovo acquisto. Un appartamento in centro, spazioso, ben ammobiliato e senza tracce di muffa o di disgustosi insetti. K. Odiava gli insetti. L’agente immobiliare gli aveva anche proposto un’offerta speciale: una moglie in allegato all’appartamento. Si chiamava L., ed era una bella donna dal sorriso dolce e i vestiti pudichi, servizievole, come al giorno d’oggi non ne facevano più – proprio del genere che piaceva a K.
L’agente immobiliare lo aveva anche rassicurato: «È ben preparata a occuparsi di ogni necessità domestica. Certo, a volte fa un po’ i capricci… ma, come con ogni altro elettrodomestico, basta qualche colpo ben assestato perché ricominci a funzionare come si deve».
E non mentiva. L. era formidabile nello spolverare i mobili, precisa nel rifare il letto e attenta alla cura di ogni bisogno di K. Peccato per l’arrosto… proprio non le riusciva bene, o era troppo crudo o bruciato. K. Non poteva certo permettere che continuasse a sbagliare, non voleva che le rimanesse quel brutto vizio. Così, fu costretto a fare incontrare le testa di L. con il marmo della cucina. Quella sera, l’arrosto era perfetto. E le macchie di sangue, sul pavimento della cucina, pulite in modo impeccabile.
A K. Piaceva la piega che quella convivenza stava prendendo. Ma non gli piacevano le pieghe che, di tanto in tanto, L. lasciava sulle sue camicie. Così, un giorno, K. Decise di insegnarle a stirare come una vera casalinga modello. E quell’ ustione da ferro da stiro sul braccio di lei, poteva benissimo essere coperta indossando maniche lunghe.
E poi ci fu quella volta che, durante le pulizie di primavera, L. lasciò un brutto alone sulla finestra. K. Avvicinò gli occhi di lei alla macchia, per farle notare il suo errore. Da allora le finestre furono sempre linde. E i cocci di vetro a terra furono fatti sparire subito, così come le schegge di vetro conficcate nel viso di lei.
Quando i ragazzi si radunavano a casa di K. per la partita, L. era sempre efficiente nell’offrire loro birra e stuzzichini. Anche se K. aveva notato, più di una volta, che quando L. si chinava per porgere la lattina a O., lui le sbirciava la scollatura. O. era amico di K. fin dall’infanzia, non lo avrebbe mai tradito. Era di certo colpa di L., che, come tutte le donne, era nata per essere una sgualdrina. Così, quando lei si dimenticò la caffettiera sul fuoco e bruciò il caffè, lui le versò il liquido bollente sul petto nudo, lentamente. Da allora niente più vestiti con lo scollo, per L.
K. aveva notato che la sua consorte, da qualche tempo, era sempre più triste. Il suo sorriso dolce sembrava quasi forzato, e quando lei lo chiamava «amore» sembrava nascondesse una certa rabbia. Nulla di grave, finché lei continuava a prendersi cura della casa – e solo verso la sera tarda, quando K. Guardava la tv, la sentiva piangere in camera da letto e battere i pugni contro le pareti. Ma c’era stata quella volta, in cui lui era entrato in bagno e la aveva trovata con i polsi rigati dalla sua lametta per radersi… al pronto soccorso, la avevano salvata per miracolo. K. Era andato su tutte le furie: come si era permessa, quella stupida donna, di sporcare di sangue tutto il pavimento del bagno?
A questo pensava, K., quel pomeriggio mentre tornava dal lavoro. Riunione cancellata, era rientrato in anticipo. Ma si fermò sul pianerottolo, quando sentì una voce maschile e familiare. Li spiò da dietro la porta socchiusa della camera da letto: O. e L., seduti sul letto e abbracciati. «Ti porterò lontano da quel mostro…» le sussurrava lui. «Ci troverà, mi ucciderà!» piangeva piano lei.
K. aveva il sangue al cervello. Sapeva che non ci si può fidare delle donne – ma gli amici! Camminò a passo felpato per raggiungere il mobiletto in cui teneva il suo fucile. Fece appena in tempo a girare la chiave, che sentì un carezza tiepida sulla nuca. E la carezza si faceva sempre più calda e umida e rossa, mentre K. cadeva a terra e la chiazza di sangue si allargava sempre più. Chi avrebbe pulito quel disastro?
Alzando faticosamente il capo, K. vide il volto sprezzante di O., con in mano un fermacarte a forma di gnomo da giardino, con la punta del cappello imbrattata di sangue. Era stata L. a comprarlo, tempo prima, e lui le aveva detto che era orribile, ma quel giorno era troppo stanco per picchiarla. Ed ecco il risultato.
K. tentò, con un ultimo sforzo, di raggiungere il fucile. Ma si fermò quando, nella vetrata del mobiletto, non vide il suo riflesso, bensì quello di un enorme scarafaggio dal cranio aperto e pulsante sangue. Eppure, l’agente immobiliare gli aveva assicurato che nella casa non c’era traccia di disgustosi insetti.


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