Cittadini del mondo: i giovani contro il terrorismo internazionale

“Come un circolo vizioso, la minaccia terroristica si trasforma in ispirazione per un nuovo terrorismo, disseminando sulla propria strada quantità sempre maggiori di terrore e masse sempre più vaste di gente terrorizzata”.

Così Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco, definiva il terrorismo nella sua opera Paura liquida, nella quale analizzava la condizione attuale di incertezza, precarietà, di costante minaccia e di mancanza di futuro che s’infiltra in ogni spazio libero.

Il pensiero di Bauman è decisamente attuale: il terrorismo, nascondendosi dietro un fittizio piano divino e brandendo la fede come un’arma, è sempre più presente nella vita quotidiana e mira ad attaccare ed intaccare non gli aspetti esclusivamente politici, bensì intimi e personali, trasferendo tale intimità ad un livello internazionale. Ciò è possibile perché le minacce di oggi colpiscono, sopra ad ogni altro aspetto, il tempo libero, il divertimento, il diritto a godere della vita. Non a caso, tra gli attacchi terroristici più recenti, i più devastanti per effetto mediatico e risonanza riguardano proprio questo ambito: il locale Bataclan di Parigi, l’aeroporto di Bruxelles, il lungomare di Nizza, i mercatini natalizi di Berlino, il concerto di Manchester, la Rambla di Barcellona. Attentati “internazionali”, per l’appunto, che mirano a generare terrore e a colpire il cuore della società e delle nazioni – i civili.

Una guerra in cui, tutti, sono coinvolti. Non solo chi ha visto seminare e crescere le basi di questo conflitto, ma soprattutto chi dovrà raccoglierne i frutti. Sembra giusto, dunque, chiedersi cosa ne pensino i giovani di questa situazione, come la vivano. Per prima cosa, va detto che i giovani, per lo meno, si informano – ci mancherebbe!, verrebbe da dire a qualcuno. Eppure non è tanto scontato. Uno strumento privilegiato per l’informazione e la divulgazione in caso di attacco si sono rivelati proprio i social network, che permettono ai futuri adulti di mantenere un flusso costante di informazioni e di rendersi conto di quello che accade grazia alla rapidità e all’immediatezza delle connessioni. Si pensi, ad esempio, ai circa 307.900 tweet con l’hashtag #Manchesterattack in sole 24 ore, grazie ai quali gli utenti ricevevano ed inviavano notizie e aiuti in diretta.

Secondo alcune statistiche relative al 2016 pubblicate da WISERDEducation, inoltre, i giovani dai 13 ai 18 anni sono consapevoli dei problemi più gravi che l’Europa sta affrontando. Sul podio è possibile trovare, al terzo posto, la povertà; al secondo, a pari merito, guerra e cambiamento climatico; al primo, il terrorismo internazionale. Anche in Italia il terrorismo è molto sentito – come emerso dal Quinto Rapporto di ricerca sui giovani firmato dall’Osservatorio “Generazione Proteo”, e presentato a Roma lo scorso Maggio. Tra gli intervistati, l’80% circa dichiara che non ha intenzione di lasciar vincere il terrorismo, di permettergli di cambiare le proprie abitudini e le proprie speranze, di renderli meno cittadini del mondo.

               

Va sottolineato che il terrorismo, in realtà, non ha religione. Il terrorismo usa la religione come specchietto per le allodole, come scusante per sviare il punctum della questione, per mostrare al resto del mondo un’etichetta che possa spaventare ulteriormente le masse e permettere il dilagare del terrorismo stesso. Il terrorismo non è prettamente cristiano, islamico, razziale, di genere – il terrorismo cui ci troviamo di fronte, è, in realtà, composto dalle cellule impazzite di un’organizzazione ancor più folle.

Non sarà questo a fermarci. Non sarà questo ad oscurare il nostro futuro. Non avrete il nostro odio.

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