Gli abusi sessuali su minori da parte di esponenti di culti religiosi non sono, purtroppo, una novità. Potere e abuso vanno sempre a braccetto, e la religione, non si può dubitarne, è una forma di potere.
Questi reati di abuso sessuale da parte di capi religiosi risultano particolarmente gravi, e non solo perché si suppone che le persone che ricoprono certe cariche siano persone irreprensibili, se non addirittura “sante”. La gravità risiede soprattutto nelle conseguenze del trauma nei giovani che lo subiscono, in cui oltre al trauma normale di un abuso sessuale si aggiunge la distruzione della propria dimensione spirituale, in particolare se l’abuso risulta prolungato.
Il sacerdote, il pastore, ma in generale un qualunque capo religioso esercita un potere, ha una certa autorità su di un giovane appartenente alla sua comunità, il quale sente la posizione di superiorità dell’altro nei suoi confronti, che non si tratta solo di prestigio. Egli è la sua guida spirituale e morale della sua vittima: influenza tutta la sua dimensione psicologica e spirituale, e naturalmente il suo rapporto con la religione. Il minore è minacciato in un luogo di formazione spirituale, di educazione umana e religiosa: proprio dove dovrebbe essere protetto.
La religione poi, allarga il suo braccio, perché coinvolge una serie di credenze e tabù della società e delle persone che influenzano il rapporto degli appartenenti della comunità di fronte a questi abusi: si hanno casi in cui il genitore della vittima è stato convinto dal parroco a non fare nulla, riferendo al figlio(/a) abusato che una denuncia del genere sarebbe stata “contro la Chiesa”.
La Chiesa in realtà si è schierata nettamente contro questa azioni, che sono contro la Chiesa Cattolica e la morale cristiana: questi atti ignobili e peccaminosi hanno “oscurato la luce del vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione” ha affermato Benedetto XVI nella Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda del 2010.
Ma non è naturalmente solo la Chiesa ufficiale dove si verificano casi del genere, non ne sono esenti le altre religioni e neppure le sette. Solo qualche mese fa, nei primi di agosto, è emerso un caso in Sicilia, da far accapponare la pelle: un santone a capo di una comunità di 5000 adepti, Pietro Capuana, considerato addirittura un Arcangelo dai suoi, abusava sessualmente di ragazze minorenni, le quali erano incoraggiate dalle stesse madri (le madri!) a concedersi all’uomo, che veniva considerato puro e vicino a Dio.
Non bisogna confondersi: non tutti i preti o le persone spirituali in generale commettono questi abusi, e non è una cosa riconosciuta dalla religione o da generalizzarsi. Vero è che questi fatti sono accaduti e accadono: alcune persone approfittano del potere e dell’autorità concessi loro per compiere crimini ignobili e da condannare, per i quali bisognerebbe stare sempre bene all’erta senza voltarsi dall’altra parte. Ma come si combatte contro chi usa la fede per giustificare o nascondere queste azioni?