“The Punisher” e l’uso delle armi: la nuova serie Marvel non si schiera

Dal 17 novembre è su Netflix l’ultimo frutto della collaborazione tra il colosso dello streaming e la Marvel, regina dei fumetti e dei cinecomics. Dopo Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist e la serie crossover The Defenders, il tassello che si aggiunge ora all’universo Marvel è The Punisher. Realizzato come spin-off di Daredevil dopo l’ottima accoglienza riservata al personaggio nella seconda stagione della serie, The Punisher racconta la storia di un altro (anti)eroe “di strada”, diverso dagli eroi dotati di superpoteri a cui il grande schermo ci ha abituati.

Veterano della guerra in Afghanistan, Frank Castle (Jon Bernthal) si è trasformato in spietato giustiziere di criminali dopo l’uccisione della sua famiglia in mezzo a uno scontro tra bande in un parco. Nella seconda stagione di Daredevil Frank è un personaggio parallelo al protagonista, l’eroe cieco e mascherato che picchia i criminali ma non uccide mai. E la dinamica tra i due, all’inizio nemici ma in fondo non troppo diversi, è stata uno dei punti di forza della stagione.

La serie in questione prosegue la storia del giustiziere colmando anche il vuoto narrativo della sua backstory. Ritroviamo Frank, creduto morto, in cerca di verità sulla morte della sua famiglia e di vendetta nei confronti di alcune vecchie conoscenze del suo passato nell’esercito. Tra queste troviamo l’amico Billy Russo (Ben Barnes), giovane belloccio che al ritorno dalla guerra si è rifatto una vita fondando una compagnia militare privata.

La trama di The Punisher è appassionante, ricca di colpi di scena, alleanze e diverse storylines. Parallelamente alle vicende del protagonista/antieroe è narrata la storia di Lewis, l’attentatore homegrown, il killer di massa purtroppo ben noto negli Stati Uniti al giorno d’oggi. Anche lui veterano, soffre di disturbo da stress post traumatico e si trasforma pian piano in un killer sadico.

Oltre ad una trama abbastanza complessa e ben strutturata, un altro punto di forza della serie è il rapporto di Frank con Karen Page, personaggio centrale in Daredevil. Giovane e determinata giornalista dal viso angelico, Karen è legata a Frank da un rapporto intimo ma mai banale, che ci regala i pochi momenti di vulnerabilità del protagonista. Interessante anche il rapporto con David, un hacker anche lui creduto morto, che dopo l’iniziale diffidenza reciproca sviluppa con Castle un legame fraterno anche se non sempre pacifico.

Eppure, in questa serie c’è troppa violenza splatter e poca complessità psicologica. Non viene mai messo in dubbio che Frank, killer di cattivi, sia nel giusto e che non sia poi così diverso dall’attentatore che, assillato dai ricordi della guerra, si rende responsabile di una carneficina.

The Punisher poteva essere l’occasione per una riflessione sulla legittimità dell’uso delle armi negli Stati Uniti, ma sembra essere prudente e non voler scontentare nessuno, mantenendosi su un territorio tutto sommato neutro. Si può sperare che questo fosse solo il primo capitolo della storia di Frank Castle, un inizio necessario per uno sviluppo più complesso e socialmente rilevante.

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