Cinque buoni motivi per fare teatro

L’anno nuovo porta con sé, da sempre, un bagaglio di buoni propositi e volontà di cambiamento. Così il teatro, mezzo comunicativo per eccellenza sin dai tempi dell’antica Grecia, può diventare motivo di rinnovamento spirituale, offrendo opportunità di crescita personale e collettiva. I benefici tratti dal mitico “dietro le quinte” non sono pochi e, anche se apparentemente invisibili, perché celati al pubblico, hanno risvolti importanti nella vita di tutti i giorni. Ecco, in particolare, cinque buoni motivi per salire su un palco:

1) COMUNICAZIONE VERBALE. A teatro, una chiara comunicazione verbale è prerogativa indispensabile per la buona riuscita di uno spettacolo. L’attore studia tecniche e teorie di articolazione di parole e suoni, utili per la costruzione del personaggio ma, inevitabilmente, il loro utilizzo non si esaurisce nel luogo circoscritto del teatro. Essere consapevoli, infatti, della difficoltà nel comprendere un linguaggio ipoarticolato, permette alla persona in questione di sviluppare una chiarezza comunicativa, per niente scontata. Inoltre l’attore deve saper improvvisare per districarsi da circostanze teatrali indesiderate, nelle quali può incorrere. Ciò si traduce, nella vita reale, in tempestività, prontezza e scaltrezza: essere in grado, in una frazione di secondo, di risolvere un imprevisto.

2) COMUNICAZIONE NON VERBALE. Durante un rapporto comunicativo, il corpo invia continui feedback all’interlocutore; questi inviano informazioni molto prima delle stesse parole. Così, è fondamentale saper padroneggiare uno strumento comunicativo potenzialmente immenso, affinché ciò che viene comunicato verbalmente non contraddica quello che il corpo lascia intendere. L’attore deve avere padronanza assoluta del proprio corpo: deve saperlo controllare, conoscerne le forze e i punti deboli, allenarlo e adattarlo al personaggio che deve rappresentare.

3) RAZIONALIZZAZIONE DELL’ENERGIA. L’energia, la forza misteriosa e fondamentale che circola in teatro, domina ogni azione scenica: avere “un corpo che brilla” permette all’attore di essere ascoltato e ottenere la massima attenzione del pubblico. Rendere razionale una realtà così misteriosa, studiarla, e saperla gestire è artificio del teatro. Di certo però, non si può dire che l’energia sia presente solo sulla scena teatrale: ogni azione umana, infatti, è dettata da una tensione, un impulso. Diventa indispensabile, quindi, apparire proprio come su un palcoscenico per aumentare l’efficacia delle intenzioni.

4) VIVERE UNA VITA ALTRA. Recitare significa “giocare”, vestendo il ruolo di qualcosa di diverso da sé. Solo se l’attore impara a giocare come un bambino, allora è pronto a vivere la vita dei personaggi; per il breve tempo del teatro vive vite altre rispetto alla propria, incarnando differenti caratteri e personalità. Ciò agisce in modo catartico sull’attore: analizzando i fondamenti dell’agire di personaggi malvagi o comprendendo la natura di azioni prima inconcepibili, in lui aumenta consapevolezza e, di conseguenza, avviene un allontanamento, che lo accompagnerà anche nella vita di tutti i giorni.

5) LAVORO DELL’ATTORE SU SÉ STESSO. Più di tutte le altre cose, il tempo del teatro è un tempo che l’attore dedica a sé stesso. Conoscere la propria persona è il punto da cui Stanislavskij parte per spiegare la sua teoria: la costruzione del personaggio avviene a seguito di una profonda analisi interiore. L’attore regala al personaggio emozioni già provate o sentimenti autentici e costruisce un corpo adeguato, sulla base delle proprie possibilità. L’attore, possedendo unicamente corpo e voce, svolge inevitabilmente un’accurata ricerca interiore, così da far fruttare i suoi potenti strumenti.

Il lavoro dell’attore è trasversale e composito; è un’esperienza che cambia la prospettiva, l’approccio nei confronti della vita. In una società in cui lo schermo è il mezzo prevalente, lo strumento del teatro diventa anche uno strumento di pedagogia e di crescita, di responsabilizzazione verso gli altri e di rafforzamento personale.

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