È proprio Rocco Siffredi, nome d’arte dietro cui si cela l’identità di Rocco Antonio Tano, il soggetto e indiscusso protagonista del film documentario intitolato appunto “Rocco”, diretto dai due registi Alban Teurlai e Thierry Demaizière. Datato 2016 e disponibile anche sulla piattaforma Netflix, questa pellicola intende focalizzarsi sull’ultimo anno dell’attività in campo pornografico del notissimo attore nostrano, indugiando poi sul suo ultimo film prima del preannunciato ritiro in pensione.
L’idea alla base da cui l’intero progetto ha preso poi vita, era decisamente accattivante: trovare la collaborazione di uno degli attori pornografici più conosciuti e famosi, che per anni di carriera ha messo a disposizione del mondo ogni centimetro del proprio corpo, e metterlo finalmente a nudo, per la prima volta sul grande schermo. Il nudo a cui sto facendo riferimento è chiaramente un nudo emotivo che lascia spazio alla confessione, non il tipo di nudità che porta al sudore e agli spasmi di piacere. Spinto forse dal desiderio di raccontarsi, Rocco Tano si rende il protagonista quasi assoluto del documentario cercando di trasmettere intensità e sincerità, parlando tanto della propria vita privata quanto di quella professionale.
Il lavoro finale è sicuramente pregevole e di interesse, i minuti scorrono piacevolmente e lo spettatore viene catapultato in mezzo ad una realtà difficile da credere, se non da immaginare: affermazione che tuttavia non deve lasciare trasparire solo elementi positivi. Il mondo del porno viene mostrato con una visione sicuramente ristretta e settoriale, senza però sbagliare essendo Rocco, e non la pornografia in generale, il tema del documentario; nonostante ciò i due registi riescono a trasmettere tanto quelle sensazioni di porno come “terra promessa” e, al tempo stesso, centrano il bersaglio lasciando scorgere aspetti nascosti di una realtà che non sembra essere costellata unicamente di soldi e facilità, ma anche di demoni.
Ecco quindi un susseguirsi di scene hard, riprese, casting, shooting, ricchi produttori, ragazze e ragazzi con il sogno dei soldi e il mito di poterli raggiungere in modo facile e, al centro di questa giostra, Rocco: lui, i propri affetti, la moglie e i figli, poi la carriera e, sopratutto, il suo fallo, cioè il suo demone. Questo è ciò che tratta il documentario o, meglio, quello che vorrebbe trattare. Se la messa in scena è accattivante, la narrazione del pornoattore sempre interessante e coinvolgente, quello che più lascia l’amaro in bocca è l’arrivare alla fine di quell’ora e quaranta minuti e doversi accontentare di un prodotto con del grande potenziale, ma che purtroppo perde la retta via strada facendo.
Il documentario pensato e girato per svelare i retroscena del pornoattore più famoso in Italia viene sfruttato, nella sua quasi interezza, per mostrare riprese hard e incontri con vecchi amici e produttori. Rocco racconta la sua vita, questo è vero, limitandosi però all’ambito famigliare: il demone del sesso, la sua ossessione, come ha concettualizzato questo problema, come lo ha affrontato e come ha dovuto conviverci, tutti questi erano elementi essenziali che dovevano costituire il nerbo principale di un lavoro che invece si limita a lasciare superficiale la propria analisi.
Ben s’intenda, Tano racconta e si racconta tanto in questo film, ma nonostante questo sembra di assistere ad una mezza farsa, in cui l’uomo recita volta per volta la parte del buon padre di famiglia, dell’attore porno amichevole con i propri fan, del professionista sul lavoro. In tutte le situazioni in cui la narrazione del protagonista tocca dei tasti importanti e più profondi, uno stacco riporta l’interesse e la tensione emotiva a livelli normali, bruciando la possibilità di approfondire quei lati di Rocco che, ancora, possono dirsi insoluti.
Per concludere, “Rocco” è sicuramente un buon film-documentario che piacerà ai più (io stesso l’ho apprezzato, pur non potendo parlarne bene quanto avrei voluto); ciò nonostante forse i due registi hanno lasciato a Tano troppa libertà di movimento nel filo degli eventi, quasi come se fosse stato quest’ultimo a decidere come plasmare la materia filmica e a servirsi dei due creatori per darle una forma esteticamente apprezzabile.