Sono passati ben cinque anni dal suo ultimo lavoro in studio (The Electric Lady). Nel frattempo, Janelle ha recitato in due film candidati agli Oscar del 2017 (Il diritto di contare, Moonlight) e in una discussissima serie tv (Electric Dreams). Ha fondato il suo collettivo artistico (Wondaland), lanciando un EP di presentazione della sua nuova etichetta discografica e rendendo giustizia ad artisti promettenti come Jidenna. E con loro ha scritto Hell you talmbout, una canzone di protesta sulle troppe vite di afroamericani prese ingiustamente dalla polizia americana. Ha collaborato coi Duran Duran per il loro nuovo album, Paper Gods, e ha contribuito alla colonna sonora di The Get Down, scrivendo e interpretando Hum along and dance (gotta get down), e a quella di Hidden Figures, con Jalapeño e Isn’t this the world.
Insomma: cinque anni pieni per la Monàe. Che nonostante tutto ha trovato il tempo di scrivere e registrare un intero album in studio, che ha annunciato il 16 Febbraio. Il quarto album di Janelle Monàe si chiamerà Dirty Computer, verrà rilasciato il 27 Aprile. Stupisce la copertina: per la prima volta in un suo album non c’è alcun riferimento all’epopea di Cindi Mayweather, al suo progetto “Metropolis”. Sembra infatti che questo album sia un film, un visual album che accompagna il primo personalissimo album della nuova Janelle Monàe.
Monàe non sembra però stanca di interpretare nuovi personaggi. Nel primo dei due video rilasciati dalla cantante per promuovere i primi due singoli dell’album, Make me feel, la cantante si presenta in doppia veste: una mora, che è la protagonista della storia principale del video, e una bionda, che sarebbe l’artista alle prese con un suo video musicale. Ogni secondo che passa è un trionfo di colori accesi, pastello, neon, sui toni del blu e del viola ma anche sul giallo e arancione: sono onnipresenti le gambe, quasi a simboleggiare l’estrema sensualità di cui è caratterizzato questo video. La canzone è un inno funky pesantemente ispirato a Prince (c’è già chi l’ha definita la Kiss del 2018), che infatti stava lavorando alla produzione dell’album prima di scomparire prematuramente nel 2016. Il testo è un’invocazione al desiderio, alla passione, una dichiarazione d’intenti, che grazie anche alle immagini del video è stato interpretato come un coming out della bisessualità dell’artista.
Il vero manifesto tra le due canzone, tuttavia, è il secondo singolo – Django Jane. Cimentatasi per la prima volta in una canzone interamente rappata, Django Jane è un mix dei temi su cui la Monàe ha sempre insistito: il potere delle donne, delle donne nere, delle donne sessualmente libere, delle emarginate e delle “altre”. All’interno, però, ci mette anche una caratteristica prettamente dell’hip hop: l’autoreferenzialità. Per la prima volta Janelle Monàe si riconosce, da sola, i suoi successi: Sottolinea come sia riuscita ad evadere dalla realtà piccola di Kansas City, nonostante le sue povere origini; come sia pronta per Oscar, Grammy, Tony ed Emmy – a due dei quali è stata anche solo indirettamente candidata. Janelle non vuole che qualcuno le riconosca qualcosa, perché lo fa da sola. In quanto donna, nera, sessualmente libera e indipendente.
Come sempre, la Monàe sembra aver sfornato un album potentissimo – che dalle premesse sembra il suo migliore finora. Riuscirà a stare al passo delle aspettative?
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