L’eterna questione del populismo

Grillo è populista. Salvini è populista. Il sempreverde Berlusconi è populista. Renzi è esponente di un establishment populista. Buona parte dell’attuale dibattito politico si risolve in simili constatazioni, in Italia come all’estero. Dal paladino della Brexit Nigel Farage, passando per Marie Le Pen, Geert Wilders e Alexis Tsipras, l’Europa sembra ammalata di populismo e l’epidemia si diffonde in tutto mondo con l’elezione del self-made milionaire Donald Trump.

Come è possibile che membri delle più diverse fazioni politiche non facciano altro che apostrofarsi ingiuriosamente con il medesimo appellativo? Perché un termine che rimanda al popolo, chiave di volta della democrazia, è tanto spregiato?

Bisogna tener presente che il populismo non è un movimento ma un’ideologia, a cui corrispondono certe pose e certe argomentazioni. In sostanza essa concepisce demagogicamente il popolo come un’entità sociale organica e naturalmente dotata di qualità etiche; dunque tutti i governi rappresentativi sono deficitari laddove impongono una mediazione indiretta rispetto alla volontà popolare: unica, legittima e sempre giusta fonte di potere.

Contro i sacchetti biodegradabili a pagamento, contro i vaccini obbligatori, contro i migranti che sottraggono lavoro e aiuti sociali agli italiani, contro le direttive della Comunità Europea, contro la burocrazia che rende inamovibili i dirigenti pubblici, l’importante è proporsi come carismatici oppositori di una qualche élite costituita.

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Alessandro II di Russia, zar dal 1855 al 1881

Il populismo prolifera trasversalmente alle bandiere di partito in periodi di crisi economica, di sfiducia verso la dirigenza politica e di grandi cambiamenti culturali. Di fatto questo fenomeno si affermò negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento in una Russia in cui il potere dispotico di Alessandro II fu intaccato dall’arretratezza produttiva e economica del pese, dall’amara constatazione di profonde disparità sociali, nonché dagli infelici risvolti della guerra di Crimea. Tra le riforme che lo zar promulgò per imbonire l’opinione pubblica vi fu l’emancipazione della servitù della gleba. Applicato con riluttanza e in modo sporadico e disomogeneo, il provvedimento, legge dal 1861, non comportò un reale miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, incapaci di riscattare le terre coltivate, costretti a rimanere alle dipendenze dei padroni come affittuari o beffati dall’assegnazione di campi meno fertili.

Il termine narodničestvo (narod, “popolo”, da cui, appunto, “populismo”) si sviluppò quindi in ambito socialista con la speranza di riformare la società russa organizzandola in collettivi, comunità sul modello di quelle agrarie, affinché per la gestione delle risorse fosse collegiale e non monopolizzata da capitalisti. Dalle pagine della rivista Kolokol (“Campagna”), pubblicata a Londra tra il 1857 e il 1865, le idee di Herzen ispirarono giovani rivoluzionari che cercarono di indottrinare le masse rurali al fine di suscitare in esse una reazione, che però mai vi fu.

Nikolaj Ivanovič Kibal’čič, rivoluzionario che si occupò della realizzazione della bomba che uccise Alessandro II: venne giustiziato un mese dopo con altri quattro attentatori

Intellettuali radicali imputavano l’indolenza di quello stesso popolo che si voleva riscattare al totalitarismo zarista: nel 1879, a tre anni dalla sua fondazione, dall’organizzazione Zemlja i Volja (“Terra e Libertà”) si distaccò  la Narodnaja volja (Volontà del popolo), che aspirava a un immediato colpo di stato tramite l’azione armata. “Bombe invece di barricate”, scriveva Trotsky. Diversi attentati vennero organizzati a danno di Alessandro II, che cadde vittima dei populisti solo agli inizi del marzo 1881.

Ma la storia delle origini del populismo è costellata di aspettative deluse: le minacciose rivendicazioni del comitato esecutivo terrorista non furono accolte dal nuovo zar, che anzi fece in modo di condannare e esiliare affiliati e presunti tali.

Premesse simili e simili vicende si susseguirono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento anche nelle Americhe. I maggiori traguardi furono raggiunti dal brasiliano Getúlio Vargas e dall’ argentino Juan Domingo Perón, che giunsero ai vertici del potere rispettivamente nel 1930 e nel 1946, ma sempre grazie alla mobilitazione dell’ esercito, più che del semplice popolo.


Fonti:

Salvare l’Europa (e l’Italia) dal populismo è la sfida del 2018

Il populismo che monta in Italia è il peggior incubo della Ue

Parole in storia: populismo

http://www.vita.it/it/interview/2017/11/13/litalia-e-populista/149/

Il populismo armato della Narodnaja Volja

populismo

Cos’è il populismo

Credits:

Logo Zemlja i Volja

Alessandro II di Russia

Nikolaj Ivanovič

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