Kym Ragusa: la novella Persefone

Kym ha la pelle troppo bianca per i neri. Kym ha i capelli troppo crespi per i bianchi.
Kym è afroamericana. Kym è italoamericana. Si sente scissa al suo interno, divisa tra la famiglia di suo padre e quella di sua padre, divisa da una commistione culturale che la vede vittima di un doppio numero di pregiudizi. Perché Kym non è abbastanza per nessuno dei due mondi, ma al tempo stesso incassa gli insulti rivolti ad entrambi. È attaccata come italiana; è attaccata come africana. È attaccata dalla sua stessa famiglia e nella sua pluralità vede la sua principale mancanza. «La pelle che ci separa» è memoir, un’autobiografia che non pretende accuratezza nei fatti, ma solo nelle emozioni. È il ritratto che Kym Ragusa fa di sé attraverso la delicata imperfezione dei ricordi. È un libro costellato di “forse”, di “se ben ricordo”, di “mi sembra”. E attraverso questa fragilità riesce a trasmettere la forza di una conquista personale: l’accettazione di sé e delle proprie molteplicità. L’autrice, infatti, si cala nelle vesti di una novella Persefone, costantemente tesa tra una sponda e l’altra, tra una realtà e l’altra, ma che rinnova il mito proprio perché fa di questa ambivalenza una scelta consapevole. La piccola Kym, desiderosa solo di mimetizzarsi, di essere come tutti gli altri e non diversa, diventa una donna fortemente consapevole e orgogliosa della propria identità composita. Le figure che accompagnano questo processo di crescita sono per lo più femminili e, in particolar modo, dominano la trama della sua vita le due nonne. Sono donne diverse, con origini diverse, in contraddizione l’una con l’altra, ma anche tra di loro. Ad esempio, la discendenza materna pur essendo afroamericana vede protagoniste dalla pelle chiara e dai capelli biondi; pronte ad utilizzare questa fortuna per godere dei privilegi dei bianchi, ma pronte anche ad atteggiamenti ostili verso gli stessi bianchi. Si rivela nella sua potenza l’astio che scorre tra due comunità confinanti, entrambe di Harlem, una situata nella parte est e una in quella ovest.

Per Kym, Kym è «nera e italiana. Afroamericana, italoamericana. Americana. Altra. Birazziale, interrazziale. Sangue-misto, mezzo-sangue, giallo-pallida, pellerossa, mulatta, negra, sporca italiana». È, dunque, tante, forse troppe cose, soprattutto quando si è circondati da chi ci appare diverso, più semplice, ascrivibile ad un’unica categoria. Sono poi queste categorie, la vera violenza; l’insensatezza di una necessità di catalogazione. Ma è una catalogazione da cui Kym fugge per tutta l’adolescenza, cercando di nascondersi, cercando di non essere né l’uno né l’altro. Il messaggio che prorompente si dirama dal testo è, però, che bisogna essere sia l’uno sia l’altro, che l’identità del singolo è il frutto delle molte identità che compongono il suo passato e il suo presente.

Un libro da leggere, da rileggere, un libro che parla di accettazione, di conoscenza, di storie diverse che diventano una storia sola, di un viaggio dell’anima tra l’America e la Sicilia.



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