#Dialogarte Intervista a Giulia Zorzi di Micamera – la cultura dell’immagine fotografica

A sinistra Giulia Zorzi e Flavio Franzoni

Lo Sbuffo ha incontrato Giulia Zorzi fondatrice, insieme a Flavio Franzoni, della più grande libreria italiana specializzata in fotografia: Micamera (via Medardo Rosso 19, Milano). Dal 2004 Micamera è anche un’associazione culturale, molto attiva sia sul territorio milanese che internazionalmente, che si occupa di promuovere la fotografia e tutte le forme d’arte contemporanea legate all’obbiettivo.

Micamera (via Medardo Rosso 19, Milano)

Cos’è Micamera?

Micamera è un incubatore dedicato alla fotografia che nasce da una libreria specializzata. Se Micamera fosse un corpo la libreria sarebbe senz’altro il cuore. Il fotolibro è un’opera, talvolta la modalità elettiva che un autore utilizza per esprimersi. In altre parole, non è un volume illustrato. Intorno al fotolibro si muove un pubblico di appassionati che forma una vera e propria comunità internazionale.

Aprendo in Italia, a Milano, Micamera ha dovuto necessariamente attivare un sistema di promozione della cultura fotografica contemporanea – e ingegnarsi anche per finanziarlo.

Poiché il libro fotografico, soprattutto contemporaneo, era un oggetto sconosciuto, Micamera ha costruito una serie di iniziative per introdurlo al pubblico italiano.

Così, nel 2004, abbiamo creato l’associazione culturale, che oggi è un’associazione di promozione sociale. L’associazione si occupa di invitare gli autori, organizzare gli eventi, dialogare con le istituzioni. Ha una vocazione culturale, di promozione della cultura fotografica.

Per finanziare l’attività culturale (gratuita) abbiamo iniziato a organizzare corsi di fotografia, workshop di due giorni con autori provenienti da tutto il mondo e nel farlo abbiamo deciso di non tradurli, incentivando così la partecipazione di un pubblico internazionale e lo scambio tra autori italiani e stranieri. I corsi hanno contribuito in modo sostanziale a formare il pubblico, e allo stesso tempo hanno consentito a Micamera di finanziare i costi legati alla produzione delle mostre e delle attività divulgative: conferenze, letture portfolio, presentazioni che continuano ad essere offerte gratuitamente al pubblico.

In altre parole, Micamera si è trovata a svolgere un ruolo quasi “pubblico”, mancando in Italia un interlocutore istituzionale a cui potesse rivolgersi e con cui collaborare. Questa situazione di partenza anomala e difficile ha avuto anche dei lati positivi, perché siamo cresciuti in fretta, diventando in pochi anni un punto di riferimento importante. Allo stesso tempo è stata naturalmente una grandissima fatica perché abbiamo lavorato moltissimo, spesso letteralmente giorno e notte. Fino a un paio di anni fa eravamo solamente in due.

Oggi, anche grazie all’attività divulgativa di Micamera, inaugura il 9 maggio presso la Fondazione Stelline la mostra di un grande autore, Michael Wolf, accompagnata da una serie di conferenze e da una libreria temporanea fotografica curata da Micamera. È un risultato molto importante per noi, che finalmente vediamo fiorire il lavoro di tanti anni. Riuscire a dialogare con le istituzioni era uno dei miei obiettivi principali: portare delle mostre di fotografia contemporanea nei luoghi istituzionali in Italia.

Che libro ci consiglieresti in questo momento?

Michael Wolf!

Uno che ti ha colpito ultimamente in modo particolare.

Il mondo dell’editoria fotografica è sempre in fermento e vengono continuamente pubblicati libri molto interessanti. Questo rende il mio lavoro appassionante! Tra le uscite più recenti sceglierei forse War Primer 2, di Adam Broomberg e Oliver Chanarin. Si tratta di un duo artistico di adozione britannica. Il libro è stato pubblicato dall’editore inglese MACK ed è la riedizione in brossura di un volume uscito nel 2011 in sole 100 copie. Allora aveva riscosso un grande successo (vincendo anche un celebre premio dal nome Deutsche Börse) ed era quindi sparito dal mercato diventando oggetto da collezione. In occasione di una mostra a Parigi (presso il Centre Pompidou 21 febbraio-21 marzo 2018) MACK ha ripubblicato il libro in edizione economica (costa 35 euro).

Broomberg e Chanarin hanno lavorato su un’opera di Bertolt Brecht, Kriegsfibel, uscita nel 1955 in Germania Est (un anno prima della morte dell’autore). In italiano uscì per la prima volta per Einaudi nel 1972 con il titolo L’Abicì della guerra. Nei primi anni quaranta, in piena seconda guerra mondiale, Brecht aveva composto una sorta di diario, ritagliando fotografie dai giornali e accompagnandole a brevi poesie di quattro versi (i cosiddetti “fotoepigrammi”) per denunciare la violenza della guerra.

Nel 2011, Broomberg e Chanarin (il cui lavoro tratta sempre temi di attualità politica e di denuncia) hanno compiuto un’operazione di sovrapposizione. Hanno scaricato da Internet immagini rappresentative della violenza del mondo contemporaneo e le hanno sovrapposte alle immagini di Brecht. Il duo artistico britannico è conosciuto anche per un altro volume dal titolo Holy Bible (MACK, 2013) che è un’edizione integrale della Bibbia rielaborata con la stessa logica. Alcuni passaggi della Bibbia sono sottolineati in rosso e diventano una sorta di didascalia dell’immagine sovrapposta al testo.

L’edizione inglese dell’Abicì della guerra di Bertolt Brecht

 

Adam Broomberg & Oliver Chanarin, War Primer 2, MACK, 2011

Avete degli editori o degli autori che sostenete in modo particolare?

Assolutamente sì. Ogni spazio ha la sua identità.

A sinistra Giulia Zorzi e a destra Jessica Backhaus

E quali sono?

Sicuramente Nazraeli Press, editore americano con sede a Paso Robles (tra Los Angeles e San Francisco, in California). Storicamente è l’editore con cui abbiamo il rapporto più stretto; molti degli autori che presentiamo nello spazio espositivo sono pubblicati da Nazraeli. Poi, i berlinesi di Peperoni Books (editori di Michael Wolf) o MACK.

Una delle qualità per noi importanti è la modalità di distribuzione dei libri, che preferiamo essere diretta: questo significa avere uno scambio più veloce ed efficace, condizioni economiche migliori, e non dover competere con Amazon. Evidentemente il debutto anche in Italia di Amazon ha provocato la crisi delle librerie, che non possono assolutamente competere con la loro politica di sconti. D’altro canto, le librerie restano un baluardo della diffusione della cultura.

Il mondo dell’editoria fotografica è un universo a sé, con regole e dinamiche diverse dagli altri settori. Ma anche nel nostro mondo, da quando abbiamo aperto nel 2003, sono avvenute profonde trasformazioni. Inizialmente le case editrici erano più grandi e meno numerose e rappresentavano una percentuale molto alta dei fotografi. Il numero di fornitori a cui mi rivolgevo era limitato. Dopo il 2010 è avvenuta una sorta di rivoluzione dal basso legata all’autoproduzione: l’accesso ai mezzi di produzione del libro era più semplice e gli autori, invece di rivolgersi alle case editrici, hanno cominciato a produrre da sé i propri libri. In alcuni contesti culturali era una cosa già molto praticata, storicamente ad esempio in Giappone l’autoproduzione era una modalità già molto corrente.

Le case editrici avevano accumulato grossi ritardi nella produzione, erano costose e non più efficienti nella promozione e nella distribuzione. Così gli autori hanno preso in mano le loro opere, scardinando letteralmente il sistema; come accade in ogni rivoluzione, anche in questo caso abbiamo assistito a una ventata di creatività di cui il mondo del fotolibro ha senz’altro beneficiato.

Una persona molto importante in questo senso è Bruno Ceschel, italiano trasferito a Londra. Nel 2011 Ceschel curò una mostra alla Photographers’ Gallery dedicata ai libri autoprodotti e la chiamò Self Publish Be Happy. In seguito, Self Publish Be Happy è diventata una piattaforma di presentazione e diffusione del libro autoprodotto – e oggi, tra le diverse attività, è anche casa editrice.

Esploso il fenomeno dell’autoproduzione, per il quale possiamo dire che il 2011 è un po’ uno spartiacque, i fotografi si sono organizzati e hanno cominciato ad organizzare incontri e festival dedicati al libro fotografico. Era una comunità che si incontrava e si scambiava i libri.

Per un certo periodo, il fotolibro ha vissuto un momento di gloria, le vendite erano aumentate e alcuni di questi volumi, spesso prodotti in edizioni piccole, sono diventati oggetti da collezione. Nell’editoria fotografica, infatti, il collezionismo esiste ed è un elemento importante.

Anche gli editori “tradizionali” hanno dovuto, in qualche modo, rinnovarsi. Per farla breve, dopo una fase di grande creatività e iper-produzione, a un certo punto il mercato non ha più retto, nel senso che c’erano troppi libri. Le vendite sono diminuite e molti piccoli editori non hanno retto il colpo. Oggi si è tornati a una forma più tradizionale, diciamo a una sorta di soluzione di compromesso. Tendenzialmente oggi è meglio avere un editore che si occupi, insieme all’autore, della promozione del libro. Allo stesso tempo, il panorama editoriale si è comunque frantumato e gli editori sono molto più numerosi di 15 anni fa.

Quali sono i prossimi eventi e workshop in programma?

Ci sarà sicuramente il corso con Michael Wolf e Hannes Wanderer di Peperoni Books (il suo editore). Il workshop si terrà a Micamera il 9 e il 10 giugno e sarà senz’altro molto interessante perché il dialogo sarà tra un gruppo ristretto di studenti (in genere ne accettiamo al massimo 13) e due docenti di prim’ordine.


FONTI

Micamera
Intervista da parte dell’autrice a Giulia Zorzi.

CREDITI
Copertina (disegno della redattrice Susan Olmi)

Immagine 1 © Enrico De Luigi

Immagine2

Immagine3

Immagine4

Immagine 5 © Gaia Giani

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