“Chiunque affermi pubblicamente e in contrasto coi fatti, che la nazione polacca o la Repubblica di Polonia è responsabile dei crimini nazisti commessi dal Terzo Reich (…) sarà sottoposto a una multa o una pena detentiva fino a tre anni”.
Questa è la cosiddetta “legge sull’Olocausto”, anche formalmente chiamata Emendamento alla Legge sull’attività dell’Istituto della memoria nazionale, che impedisce di definire la Polonia come complice dell’Olocausto avvenuto durante la seconda guerra mondiale e che vieta di definire i campi di concentramento presenti su territorio polacco come “polacchi”. Pena: fino a 3 possibili anni di carcere.
Andrzej Duda, presidente polacco, ha deciso di firmare tale legge lo scorso 6 febbraio dopo l’approvazione del Senato – con 57 voti a favore e 23 non – e della Camera, entrambi controllati dal partito Diritto e giustizia.
Questa nuova legge, come si può immaginare, è stata oggetto di numerose critiche e prese di posizione, specialmente da altri paesi e da organizzazioni internazionali.
In Israele, il primo ministro ha affermato che il parlamento Israeliano sta considerando l’idea di creare una legge che riuscirebbe ad assicurare ai cittadini una sorta di protezione se per sbaglio dovessero definire un campo di concentramento in Polonia come “polacco”.
Inoltre, una forte critica che è stata posta è stata quella di limitare la libertà di espressione e di parola dei cittadini; proprio per questo, una delle prime cose che il presidente Duda ha fatto è stata quella di inviare l’emendamento alla Corte Costituzionale per far si che questa lo dichiarasse compatibile con l’articolo 54 della Costituzione, il quale garantisce il diritto alla libertà di parola e di espressione.
Anche organizzazioni come Amnesty International hanno denunciato subito l’accaduto poiché il governo polacco sarebbe andato contro le decisioni del diritto internazionale il quale non accetta leggi che vogliono proteggere l’onore e l’immagine di un solo stato.
Un’altra forte critica che è stata posta e sottolineata è che i campi di concentramento che sono stati costruiti non erano certamente stati costruiti in primo luogo dal popolo polacco, ma, nonostante questo, non bisogna dimenticare che l’antisemitismo era molto forte e diffuso anche in Polonia durante la prima metà del XX secolo. Come ha affermato il vicepresidente della Commissione Europea Timmermas:
“Tutti i paesi europei occupati da Hitler hanno avuto, oltre a molti eroi, anche collaborazionisti”.
Sui social è stata anche lanciata una campagna dal governo polacco il cui hashtag è #GermanDeathCamps (#CampidiSterminioTedeschi) e con questo numerosi video e post sono stati pubblicati. Uno dei più famosi e visti è stato creato dalla Fondazione Nazionale Polacca e riporta tutta una serie di immagini e di frasi in inglese contro i tedeschi come “Ebrei e polacchi hanno sofferto insieme” oppure “Abbiamo fatto molto per salvare gli ebrei come Stato, come cittadini, come amici”.
Un altro video che ha avuto molto successo è quello di Alina Dabrowska, una signora di 91 anni che riporta la sua testimonianza di quando è stata deportata a Auschwitz-Birkenau.
In una frase lei dice che questi campi erano tedeschi e non poteva credere a ciò che sentiva quando si parlava di “campi polacchi”.
Questi sono solo esempi della vasta campagna social che il governo sta facendo: il ministero degli affari esteri ha anche creato un account Twitter in cui condividere tutti questi tipi di notizie.
Più recentemente dal governo è stato anche preso il provvedimento di denunciare qualunque dichiarazione “antipolacca” da altri stati e il presidente del Senato ha così scritto:
“Vi prego di documentare e reagire ai casi di ostilità antipolacca, alle opinioni e alle formulazioni che ci danneggiano e offendono il nostro orgoglio nazionale; informate i consolati e le ambasciate“