Billy Pilgrim ha viaggiato nel tempo! Puu-tii-uiit?

“Questo è un disastro, e non poteva essere altrimenti, poiché è stato scritto da un pilastro di sale. Comincia così: Ascoltate: Billy Pilgrim ha viaggiato nel tempo. E finisce così: Puu-tii-uiit?”

Questa è la fine del primo capitolo di “Mattatoio N5” di Kurt Vonnegut, uscito per la prima volta nel 1969 grazie alla Delacorte Press. Le prime pagine sono più un prologo che un capitolo vero e proprio in realtà: l’autore si confonde con l’io narrante nell’affermare quanto di vero c’è nel romanzo, e infatti c’è molto di autoiografico. Kurt Vonnegut, nato ad Indianapolis nel 1922 e morto a New York nel 2007, nel 1943 lascia i suoi studi di biochimica a New York per partire volontariamente con gli alleati alla volta della seconda guerra mondiale nel ruolo di fante esploratore. Proprio in guerra, una volta fatto prigioniero nel ’44 durante l’offensiva delle Ardenne, viene trasferito in Germania, e assiste al bombardamento alleato su Dresda, un bombardamento fatto per errore, che rade al suolo la città e causa innumerevoli vittime tra i civili. Vonnegut si salvò perché rinchiuso nella grotta del mattatoio numero cinque. Questa esperienza traumatica genera nell’autore tutta una serie di riflessioni umanitarie e pacifiste che egli riversa in più romanzi della sua produzione, tra i quali “Mattatoio N5” risulta essere il più famoso. In questo romanzo converge inoltre un’altra cifra caratteristica dello stile dell’autore: la fantascienza. Vonnegut ha scritto di fantascienza molto a lungo, per poi abbandonarla solo momentaneamente con la serie di romanzi umanitari contro la guerra.

La fabula dell’opera è molto semplice da definire: Billy Pilgrim, soldato male addestrato e pacifista, si ritrova suo malgrado in mezzo alla guerra. Sballottato dagli eventi, tentando più volte di lasciarsi morire, Pilgrim si ritrova infine a Dresda e si salva dal bombardamento per una pura casualità. Tornato in patria, sposa una donna corpulenta figlia di un ricco ottico e diventa ottico anch’egli. Da questo matrimonio nasceranno due bambini. Dopo un incidente aereo in cui restano coinvolti molti ottici e di cui Piglrim è l’unico sopravvissuto, resta in coma. La moglie, disperata, per sbrigarsi a raggiungerlo in ospedale ha un incidente d’auto e muore. Pilgrim dunque all’ospedale scopre uno scrittore di fantascienza e si appassiona alla stessa. Viene poi rapito dagli alieni, i Tralfamadoriani (presenti in numerose opere di Vonnegut), esseri superiori non soggetti allo scorrere del tempo che possono vivere nella quarta dimensione. Questi dopo qualche tempo gli procurano come compagna un’attricetta californiana con un passato nel porno con cui Pilgrim avrà un altro figlio. Ritornato sulla Terra, Billy Pilgrim durante un comizio in cui invitava alla pace e parlava del tempo come era concepito dai Tralfamadoriani, resta ucciso da un ex commilitone vendicativo. Lineare, semplice, logico. Ma è proprio nell’intreccio che sta la vera originalità del romanzo:

“Billy è andato a dormire che era un vedovo rimbambito e si è svegliato il primo giorno di nozze. […] Ha visto molte volte la propria nascita e la propria morte, dice, e rivive di tanto in tanto tutti i fatti accaduti nel frattempo. Così dice. Billy è spastico nel tempo, non controlla i movimenti, non sa dove andrà dopo, e le sue gite non sono necessariamente divertenti. È costantemente in uno stato di terrore da palcoscenico, dice, perché non sa mai quale parte della sua vita dovrà recitare la prossima volta”

Questi viaggi nel tempo avvengono in modo decisamente incontrollato da parte di Billy e gli causano non poche seccature dato che si manifestano agli altri come svenimenti improvvisi e temporanei. È a causa di uno di questi svenimenti che il suo commilitone e lui stesso restano indietro e vengono fatti prigionieri. Inoltre sembra che Billy si lasci vivere, trasportare dagli eventi senza esserne particolarmente turbato. “Così va la vita” è la frase che ricorre di più nel corso del romanzo. Un protagonista atipico, un antieroe per eccellenza. Pilgrim non ha il fisico per la guerra né sembra averlo per la vita. Tutte le sue decisioni sembrano frutto del caso, e lui sembra più una vittima del tempo che non un abitante dello stesso. Nei numerosi episodi di guerra di cui è popolato il libro, Pilgrim si rivela quello che è: non un eroe pronto a tutto pur di rendere onore alla propria patria, ma un ragazzino inerme e ignaro, travolto dalla cruda e violenta realtà storica in cui si trova. Anche questo è un tema su cui Vonnegut insiste molto: a fare la guerra vengono mandati dei bambini, dei ragazzini destinati al macello ancor prima che abbiano potuto assaporare la vita. Infatti, il sottotitolo del libro è La crociata dei bambini. Billy Pilgrim vive la sua vita con un’apatia preoccupante, dovuta all’esperienza condivisa con i Tralfamadoriani. Ha visto la sua morte centinaia di volte, ma non lo preoccupa, perché sa che continuerà ad esistere nel tempo. Una concezione che ricorda quella dei vecchi saggi. Ovviamente, questo atteggiamento è destinato a non essere compreso dagli altri, e dunque la figlia lo prende per pazzo ed è esasperata dai suoi vaneggiamenti, i commilitoni vorrebbero ucciderlo seduta stante e si chiedono come mai quell’inetto di Billy Pilgrim vive e altri valorosi muoiono. La storia di Billy Pilgrim è dunque una grande tragicommedia grottesca.

“Prenda la vita momento per momento e vedrà che siamo, tutti, insetti in un blocco d’ambra.”

Anche il film che è stato tratto da questo libro (“Mattatoio n5″ è anche il titolo della trasposizione cinematografica), diretto da George Roy Hill ha la stessa costruzione a scacchiera in cui si intrecciano passato, presente e futuro, con diversi incipit. Molto apprezzato dalla critica, il film ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 1972 e il Saturn Award per il miglior film di fantascienza sempre nello stesso anno. Una trasposizione che pare aver allietato le aspettative dei lettori. O forse no. Certo non era semplice fare un film con una trama simile, soprattutto nel ’72, quando ancora gli effetti speciali lasciavano molto a desiderare. All’epoca si rivelò comunque una buona pellicola, ma se fu anche una buona trasposizione solo un lettore può dirlo, aldilà dei premi.

Sotto questo senso di accettazione del destino e della vita, Vonnegut però nasconde una denuncia spietata dei crimini di guerra da un lato e dall’altro, e insiste sull’episodio del bombardamento di Dresda che fu una tattica più che uno sbaglio. La rassegnazione di Billy Pilgrim all’esistenza è da un lato molto dolorosa, dall’altro è un inno alla pace, alla non azione, alla non violenza. Il lettore si trova spaesato dalla narrazione a scacchiera, e smarrito così come lo è il protagonista. Il senso di sopraffazione attanaglia chi legge insieme alla risata catartica, nell’antico senso greco del termine. Uno stile un po’ rozzo all’apparenza, elementare, ripetitivo, che nasconde una grande maestria nel narrare: non è da tutti giocare con così tanti piani temporali contemporaneamente. E di fronte all’orrore della guerra, Vonnegut non può che usare il verso di un uccellino, dato il silenzio assordante lasciato nelle orecchie degli uomini. Puu-tii.uiit?


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