Vuoto a rendere: dopo 40 anni, si tornerà a guadagnare sui contenitori vuoti restituiti

A distanza di circa 40 anni, torna in Italia il “vuoto a rendere“. Pratica già diffusa all’estero, l’Italia, dopo la sua abolizione sul finire degli anni ’80, non si era ancora decisa a riapprovarne la messa in atto.

Ora invece il Ministero dell’Ambiente ha finalmente dato il via ad una fase sperimentale del progetto.

Nel 2014, all’interno della Legge di Stabilità, era stata approvata la misura del “Collegato Ambientale” atta alla prevenzione dei rifiuti di imballaggio monouso. Così finalmente, il 25 settembre 2017 è apparso sulla Gazzetta Ufficiale il regolamento della misura che verrà attuata per un periodo di prova di un anno e si applicherà ai contenitori di liquidi (birra ed acqua in particolare), di volume compreso tra gli 0,20 e gli 1,5 litri.

Ma in cosa consiste il vuoto a rendere?

Il concetto di base è molto semplice. Ogni volta che consumiamo una bevanda, il contenitore entro cui il liquido ci veniva servito, veniva gettato, entrando, se consumatori ed esercenti erano onesti e se il comune lo prevedeva, nel ciclo di riciclaggio. Che si trattasse dunque di vetro o plastica, il contenitore sarebbe dunque stato trattato secondo le procedure previste, per essere appunto riciclato e reimmesso nella catena produttiva secondo la sua nuova destinazione.

Questo processo avrebbe però richiesto un consumo di energia e materiali di lavorazione piuttosto alto e il risultato non avrebbe sempre corrisposto alle aspettative auspicabili.

Attraverso il vuoto a rendere tale processo subisce una scossa. 

Secondo tale pratica, quando il consumatore acquisterà un liquido, pagherà una cifra comprensiva di quello che in Germania chiamano pfand, ossia una sorta di cauzione, che equivale al costo del contenitore in misura proporzionale al valore della bevanda. Una volta consumata, il cliente potrà tornare dove ha acquistato il prodotto e ricevere, in cambio del contenitore vuoto, la somma corrispondete alla cauzione versata all’acquisto.

L’importo si aggirerà intorno agli 5 centesimi per le lattine da 200 ml e 30 centesimi per le bottiglie da un litro e mezzo, una piccola somma che rappresenta però un notevole guadagno, se pensiamo a quanti imballaggi consumiamo nell’arco di un mese. Onde evitare fraintendimenti, è bene specificare che tale progetto “in nessun caso comporta un aumento del prezzo di acquisto per il consumatore”.

Il contenitore subirà a quel punto un processo di sterilizzazione, che porterà ad un consumo di energia notevolmente inferiore (circa il 60% in meno) a quello richiesto dal suo riciclaggio o dalla produzione di un nuovo imballaggio. Ma non solo. Il contenitore potrà essere reimmesso in circolo fino a 10 volte. Un guadagno notevole dunque per l’ambiente.

I negozi aderenti dovranno esporre sulla propria vetrina un simbolo riconoscitivo e dovranno impegnarsi a rispettare l’impegno preso per tutta la durata dell’esperimento.

In altri paesi europei come Germania, Danimarca, Norvegia o Gran Bretagna, gli abitanti sono ormai da anni abituati a tale pratica. In questi paesi i negozi sono obbligati ad accettare i contenitori anche se i prodotti non erano stati acquistati presso di loro, consentendo dunque una maggiore circolazione dei contenitori da riutilizzare, ma non solo: è pratica diffusa aiutare i senzatetto donando loro le bottiglie vuote consumate, così da permettere loro di riscattarne la cauzione e guadagnare, anche se poco, quel tanto che li possa aiutare.

Dopo una fase di monitoraggio si deciderà se tale pratica risponde ai requisiti di fattibilità tecnico-economica e ambientale e a quel punto, se la risposta sarà stata positiva, si penserà se estendere il progetto anche ad altri prodotti.

Lo scopo del progetto non è però solo di stampo economico. Il fine ultimo è quello di educare la cittadinanza ad un consumo consapevole dei prodotti, così da comprendere come ogni singolo prodotto acquistato e consumato è sempre contenuto in un imballaggio che, una volta svuotato, vene spesso gettato con noncuranza. Attraverso il vuoto a rendere invece, spingendo la leva del valore economico (maggiormente percepibile a livello psicologico), si spera che i cittadini si rendano conto di quante volte compiono il gesto di buttare qualcosa che potrebbe avere ancora un’utilità.


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