Antonio Canova a Possagno parte I: la gypsoteca, il museo e la casa

Antonio Canova è l’artista che ridiede il soffio vitale all’arte classica, riportando in auge le sculture della Grecia antica, nel mondo della cultura di fine Settecento. Le sue opere, che possiedono il primato dell’eleganza, oggi sono sparpagliate in numerosi ed importanti musei europei, ma pochi sanno che la vera natura di queste, il lascito della loro prima creazione, si trova in un piccolo e verdeggiante paesino in provincia di Treviso: Possagno, la città natale dell’artista.

Antonio Canova nacque a Possagno il primo novembre 1757. Fu educato nella casa del nonno Pasino, tagliapietre e scultore locale. Dimostrò già da giovanissimo una naturale inclinazione alla scultura. Il primo ad intuire la capacità artistica di Antonio Canova fu il nobile veneziano Giovanni Failer che lo avviò allo studio e alla formazione professionale. Il suo primo e vero laboratorio artistico fu a Pagano d’Asolo, dove lavorava per la famiglia Torretti. Si spostò poi a Venezia per frequentare la Scuola del Nudo all’Accademia di Belle Arti e studiò disegno traendo ispirazione dai calchi in gesso della Collezione di Filippo Farsetti. Riuscì con pazienza ad avviare una bottega in proprio, dove realizzò le prime opere: Orfeo ed Euridice ed il gruppo di Dedalo e Icaro. Compì il suo primo viaggio a Roma nel 1779 dove produsse le sculture più belle ed importanti che gli attribuirono quella impareggiabile maestria riconosciutagli tutt’oggi.

T. Lawrence, Ritratto di Antonio Canova

La sua fama crebbe in Italia e all’estero: ricevette di continuo nuove e impegnative commissioni da ogni parte d’Europa. Quando i francesi occuparono Roma, nel 1798, egli preferì abbandonare la città e tornare nella sua città natale, la sua amata Possagno, dove si dedicò inaspettatamente alla pittura. Si spostò nuovamente a Roma, dal fratellastro, il vescovo Giovanni Battista Sartori (fondamentale figura che gli è stata accanto per tutta la vita) e nel 1815, dopo la disfatta di Waterloo si recò a Parigi dove ebbe l’incarico di riportare in Italia le numerose e preziose opere d’arte trafugate da Napoleone (per saperne di più cliccare qui) tale missione gli conferì il titolo di Marchese d’Ischia. Nel luglio del 1819 ritornò a Possagno per posare la prima pietra del maestoso Tempio che volle donare alla sua comunità come chiesa parrocchiale, ma che non vide mai ultimato, infatti l’architettura verrà completata dieci anni dopo la sua la morte, avvenuta nel 1822 a Venezia. Per volere del fratello il suo corpo fu poi traslato proprio nel Tempio stesso.

In questa graziosa cittadina vi si trovano la Gypsoteca attigua al Museo confinante con la Casa dello scultore e, proprio di fronte sulla cima di una ripida e lunga scalinata, il Tempio canoviano.

Prima di procedere alla spiegazione di questi interessanti siti, occorre ricordare che dopo la morte di Antonio Canova, per tutto il corso del XIX secolo, l’Italia ha svolto un ruolo molto marginale e periferico nell’ambito della formulazione delle nuove teorie e pratiche artistiche e dunque viene spontaneo chiedersi quali fossero state le novità tecniche promosse da questo e scultore e soprattutto, come lavorava Canova?

Canova, Danzatrice col dito al mento, gesso

Prima di lavorare il marmo l’artista seguiva un lungo processo creativo: dal disegno – prima idea di un lavoro – passava a realizzare un iniziale bozzetto della statua in argilla (o terracotta o persino cera), cosicché ricavava un’idea tridimensionale di quella che sarebbe stata l’opera finita. La fase successiva prevedeva la realizzazione della statua modellata in argilla su cui veniva colato il gesso per creare la così detta “forma negativa”. Dal negativo, poi, si ricavava il modello su cui venivano inseriti i chiodini di bronzo (chiamati repère) utilizzati per trasferire, mediante compassi e pantografi, le misure dal gesso al blocco di marmo. Quando le parti del modello in gesso erano state tutte fedelmente riportate nel marmo, Canova interveniva per dare l’ultima mano: ritocchi, levigature e lucidatura. La statua veniva così “licenziata”, venduta e trasportata nelle dimore dei committenti e dei collezionisti.

La Gypsoteca e il Museo

Il termine “gypsoteca” deriva dal greco e significa “raccolta di gessi”. Pochi anni dopo la morte dello scultore, lo studio romano fu chiuso e le sculture furono spostate, a cura del fratello, nella cittadina veneta. Vennero ospitate in un edificio absidato, progettato nel 1834 dall’architetto veneziano Francesco Lazzari e collocate nel medesimo modo in cui si presentavano in precedenza. Nacque così la Gypsoteca, uno dei più antichi musei del Veneto.

Dettaglio lato destro della Gypsoteca (Ala ottocentesca)

I gessi raccolti in questo luogo, quindi, non sono delle semplici copie o dei calchi delle opere in marmo: si tratta dei modelli originali, la vera espressione della genialità creativa di Canova, mentre i marmi sono l’esatta riproduzione.

Collocato in fondo alla sala ecco l’imponente gruppo di Ercole e Lica.

Canova, Ercole e Lica, 1795-1815 gesso, Gypsoteca di Possagno
Canova, Ercole e Lica, 1795-1815, marmo, Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma

Si tratta di una delle prime statue colossali realizzate dallo scultore, che rappresentano un episodio sofocleo: Ercole, dopo una spedizione vittoriosa contro Eurito di Ecalia, conquista Iole, la figlia di Eurito. La moglie Deianira, saputo di Iole, cercò di riconquistare il marito con un unguento preparato con il sangue del centauro Nesso. Intrise una bianca veste con questo unguento, e diede l’indumento a Lica per consegnarlo ad Ercole. In realtà il sangue che Nesso aveva dato alla donna era velenoso e quando Ercole indossò la veste il veleno cominciò a penetrargli nella pelle infiammandola e quasi rendendolo pazzo dal dolore. Cercò di strapparsi la camicia di dosso, ma senza riuscirci. Preso da violenta ira Ercole afferrò l’innocente Lica e lo scagliò così lontano che cadde in mare e si trasformò in scoglio. La storia giunge all’epilogo con Deianira che, saputo cosa aveva prodotto il suo unguento, si suicida mentre Ercole, dopo aver dato in sposa Iole a suo figlio, si reca sul monte Oeta per finire le sue sofferenze tra le fiamme di un rogo. E qui, mentre le fiamme cominciano a lambirlo, giunge Atena con un cocchio a prendere l’eroe e portarlo con sé sul monte Olimpo, dove Zeus gli fa dono dell’eterna giovinezza.

Nel Museo vi si trovano oltre alle sculture, anche gli attrezzi dello scultore, alcuni cimeli e la produzione incisoria.

Il Complesso è abbellito da un giardino tipicamente all’italiana, con una parte coltivata a fiori ed è chiuso a nord dalla casa natale di Antonio Canova, la quale ospita la produzione pittorica dell’artista caratterizzata dalle delicatissime danzatrici.

Canova, Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte (dettaglio), tempera, 1799
Canova, Danzatrice che si regge il velo, volta a destra, tempera, 1799

FONTI

Visita diretta da parte dell’autrice

Museo Canova

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