Ri-scoprire Vasilij Grossman dovrebbe essere un “must“ per gli amanti della letteratura. Indipendentemente dalle considerazione di genere e tipo. Ogni qualvolta si parla di letteratura, Grossman è uno dei primi nomi ad uscire dalla mia bocca. Ben presto però l’empatia con l’interlocutore si rivela essere una mera illusione, un “misunderstandig” per lo scrittore israeliano: David Grossman, importante autore di romanzi molto famosi come Qualcuno con cui correre o Che tu sia per il coltello.
Quando si pensa ai grandi della letteratura russa o sovietica, Grossman non è certo tra i nomi in voga. Nonostante ciò, la maggior parte delle sue opere sono pubblicate da Adelphi, anche con un buon riscontro della critica contemporanea.
La sfortuna di Grossman (1905 – 1964) fu il difficile rapporto col regime Sovietico (ovvero Stalin), dovuto in primo luogo alle sue origini ebraiche. Sulla scia di vari scrittori non allineati, Grossman finì nel dimenticatoio e cadde in disgrazia. Lo Scrittore in guerra era consapevole di quale sarebbe stata la sua sorte, aveva infatti assistito alla deportazione di Mandel’stam, all’ergastolo del silenzio inflitto a Bulgakov (ne abbiamo parlato qui). Ma la ricerca della verità fu sempre maggiore, anche a costo dell’emarginazione. D’altronde proprio all’emarginazione, quella ebraica, Grossman dedicò il suo “opus magnus”: Vita e Destino, un romanzo epico incentrato sul dramma della seconda guerra mondiale.
Insieme al Dottor Živago di Pasternak (premio Nobel 1958), Vita e Destino viene considerato una sorta di reincarnazione novecentesca di Guerra e Pace. Grossman non negò mai le influenze tolstojane così come “confessò” di avere per modello dei propri racconti Čechov, autore non particolarmente apprezzato dal regime sovietico, del quale scrisse:
“Čechov s’è caricato sulle spalle a mai nata democrazia russa. Il cammino di Čechov è il cammino di libertà della Russia. Mentre noi abbiamo imboccato un’altra strada“
Fra i racconti di Grossman, La cagnetta meglio ripropone la grande tematica cechoviana della fredda ineluttabilità. La trama di per sé è molto semplice e sembra un calco della sfortunata Laika (in russia conosciuta come кудрявка, ovvero ricciolina): la cagnolina spedita a bordo dello Sputnik 2 e mai più ritornata dallo spazio.
Non differentemente da Kastanka (un rasskaz di Cechov) Grossman nella propria analisi riesce a sviscerare in poche pagine il rapporto tra “il cane e il padrone” Aleksej Grigorevic, scienziato a capo del lancio spaziale. L’uomo si dimostra freddo, cinico (matematichese direbbe Thom York), disposto a sacrificare il proprio animale in nome del radioso futuro sovietico. Tuttavia, ignara del proprio tragico destino, o forse no … gli animali sviluppano una legame inscindibile col padrone, la cagnetta “come Cristo, rispondeva al male con il bene, gli dava amore in cambio delle sofferenze che lui le causava“.
A Grossman bastano poche parole per ribaltare il gioco dell’immedesimazione, suscitando una “prodigiosa empatia“, non verso il simile ma verso la natura e gli animali, “colpevoli” di amare incondizionatamente l’uomo.
E se Aleksej in un primo momento esulta per il trionfo scientifico raggiunto, mesto ammetterà:
“È una cosa agghiacciante, il lamento di un cane solo in mezzo all’universo.”
Una prodigiosa empatia di M.A. Curletto in La cagnetta di Vasilij Grossman, 2013, Milano, Adelphi