L’Italia è un paese dove il razzismo è ancora profondamente radicato e chi si manifesta contrario viene tacciato di “buonismo” se non addirittura criticato: un esempio ben noto è Laura Boldrini, che da molti mesi ormai è costretta a subire offese e minacce di ogni genere.
La tendenza generale è evidenziare il problema e mai la causa. Questo lo vediamo bene nell’accusa rivolta soprattutto agli spacciatori di droga, spesso nigeriani e pakistani; ma non si risale mai a chi incentiva, arruola queste persone e permette il traffico. Altro indizio del razzismo radicato nella nostra società è il continuo riportare fatti di cronaca nera che coinvolgono stranieri, specie se di origine mediorientale. Spesso ci dimentichiamo che in Italia migliaia di persone che passano i nostri confini studiano, lavorano e affrontano sacrifici tutti i giorni.
A gennaio un caso che ha fatto scalpore è stata l’affermazione di Attilio Fontana, il quale, commentando la situazione italiana, ha dichiarato che “la razza bianca è a rischio”. Al di là se sia eticamente corretto esprimersi col vocabolo “razza”, laddove molti suggeriscono il termine etnia, questo semplice lapsus è un indizio di come in Italia, anche ai vertici più alti, si ragioni ancora per razze.
Eppure non ci rivolgeremmo mai ad un tedesco, un americano, chiamandolo “di razza germanica” oppure “di razza americana”. Questo perché il discrimine è sempre dettato non dalle differenze geografiche e culturali, bensì economiche. Neppure con i russi, gli australiani e i giapponesi, che pure hanno uno stile molto lontano dal nostro, esiste una critica tanto consistente. Qualcuno potrebbe obiettare che questi popoli non portano criminalità nel nostro paese e che i loro flussi sono limitati, ma occorre rilevare che ciò non è del tutto vero. Se il problema fosse solo la criminalità e l’elevato numero di arrivi, allora non si spiega come mai in Italia non ci sia una particolare critica verso i cinesi, spesso implicati con affari illeciti e che negli ultimi anni hanno aperto numerose attività, che sono andate a sostituire o affiancare quelle italiane.
Ne consegue che l’italiano medio si accanisce in particolar modo sulle popolazioni mediorientali perché le vede povere, con un sistema culturale molto diverso dal suo e perché li avverte come una potenziale minaccia, minaccia per la perdita di eventuali posti di lavoro, di impunità, giacché cosa si può togliere a una persona che non ha nulla da perdere?
Ma a questo punto torniamo alla situazione di partenza, ovvero che l’italiano medio guarda il problema e non la causa. Perché uno Stato che tutela i suoi cittadini innanzitutto non permette di assumere manodopera sottopagata e fornisce contratti dignitosi; in secondo luogo, combatte in tutti i modi lo spaccio di droga e qualsiasi attività illegali;, terzo, non lascia in politica pregiudicati.
È interessante notare che, nel precedente periodo di campagna elettorale, questi ultimi temi o non sono stati affrontati, o non sono stati sufficientemente dibattuti, mentre il contrasto ha finito per “bipolarizzarsi” incentrandosi molto sul tema dell’immigrazione, ovvero se si fosse favorevoli all’accoglienza o meno.
Nonostante lo straniero ponga spesso molti dubbi al paese ospitante, è da rilevare che uno straniero ben integrato contribuisce e aiuta a crescere il prestigio di una nazione.
In conclusione, pare dimostrato che gli italiani incolpano gli altri laddove dovrebbero in realtà compiangere solo sé stessi.