#Decameronvive: Andreuccio da Perugia e il concetto di esperienzialità

II GIORNATA, NOVELLA V: LE SFIGHE DI ANDREUCCIO DA PERUGIA

Se nella prima giornata decameroniana era stato deciso di novellare a piacere, nella seconda il tema è, come si può già evincere dal titolo, la sfiga. Detto in maniera più estesa e decisamente più raffinata, «si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine». La storia è quella di un giovane sensale che decide di recarsi a Napoli con una borsa piena di monete d’oro per comprare dei cavalli. Nella piazza del mercato, la sua pesante borsa viene notata da una giovane siciliana accompagnata da un’anziana signora, che mostra di conoscere Andreuccio. La fanciulla interroga la vecchia e, dopo essersi fatta raccontare vita, morte e miracoli della famiglia del giovane, decide di architettare il suo piano.

Sul far della sera, dunque, manda la sua fantesca a raccattare il giovane nel suo albergo, e si presenta in quanto figlia illegittima del padre di Andreuccio, e dunque sorella di lui medesimo. Andreuccio ci casca in pieno, e dopo una serata all’insegna dell’allegria, si ferma da lei a dormire, provvisto della sua pesante borsa di denari. Spogliatosi per andare a letto (soprattutto della borsa) e sentendo il «naturale uso di dovere diporre il superfluo peso del ventre», va nel luogo adibito, probabilmente già preparato per l’occasione. Infatti è tempo solo di un istante, e il giovane Andreuccio si ritrova catapultato fuori dalla casa, e a nulla gli serve far casino perché la finta sorella gli apra.

Si imbatte quindi in una coppia di ladri notturni, che gli propongono un eccellente piano per rimediare al furto: rubare l’anello di un uomo di chiesa morto di recente. Andreuccio accetta, ma dopo aver saccheggiato la bara e aver consegnato ai delinquenti i principali oggetti di valore trovati attaccati al morto, viene chiuso nella tomba dai due, che decidono di fuggire portandosi con sé tutto il malloppo. Per fortuna che non erano stati gli unici ad avere una così bella pensata. Andreuccio coglie l’occasione, e quando il sarcofago viene aperto da un’altra brigata ne approfitta per darsela a gambe. Il giorno dopo ritorna a Perugia. Ha investito la sua borsa di denari e ci ha guadagnato un anello da cardinale.

Illustrazione di Andreuccio nascosto nella tomba

 

NARRATOLOGIA NATURALE: NARRATIVITÀ = ESPERIENZIALITÀ

Questa teoria narratologica è stata elaborata negli anni ’90 da Monika Fludernik, partendo dal presupposto che la narratività non sia una qualità ingenita al testo, ma sia attribuita attivamente dal fruitore durante la lettura. In questa prospettiva i lettori per orientarsi in una narrazione utilizzano gli stessi parametri cognitivi che usano per destreggiarsi nella vita quotidiana, cioè precisi frame e schemata collegati all’esperienza corporea, al nostro essere nel mondo. Perciò, affinché un testo sia considerato narrativo, non è necessaria una sequenza serrata di eventi o una temporalità rigidamente definita, come invece sostenevano gli studiosi di stampo strutturalista. Occorre invece che emerga un’esperienza, tale da coinvolgere il lettore attraverso il meccanismo dell’immedesimazione.  Esperienzialità, infatti, «ha a che fare anche – anzitutto – con l’evocazione di un mondo interiore, o con la rappresentazione di un soggetto parlanteQuesto concetto racchiude un’idea di movimento nel tempo e si struttura in una serie di comportamenti finalizzati a uno scopo, accogliendo in sé anche le eventuali serie di reazioni a ostacoli che possono presentarsi durante il percorso.

Inoltre importanza centrale hanno le «valutazioni elaborate a fatti conclusi», poiché gli eventi del plot vengono catalogati e ordinati nella mente finzionale dei personaggi, andando a incidere sulla loro personalità e sui loro comportamenti futuri. La valutazione dell’esperienza vissuta è centrale anche nel momento del racconto, poiché si sceglie di narrare qualcosa per il suo grado di memorabilità e di rilievo cognitivo ed emotivo. In questo senso, la sequenzialità viene messa in secondo piano e tutto è filtrato dalla mediazione soggettiva delle parti coinvolte, da cui non è affatto esclusa la figura narratoriale.

E, ancora:

«[I personaggi], nella misura in cui sono esseri umani, possono muoversi, parlare e pensare, e il loro agire necessariamente ruota intorno alla loro interiorità, alla loro autoconsapevolezza, alle loro percezioni e alla loro sfera emotiva. La decisione di subordinare l’azione all’esperienza umana si lega alla posizione dominante che la rappresentazione della vita interiore ha assunto nella letteratura del secolo scorso [cioè l’Ottocento, ndr].»

Ma sarebbe scorretto sostenere che la narratività appartenga esclusivamente ai romanzi dell’Ottocento o del Novecento, in cui l’indagine letteraria ruota in larga parte attorno alle pieghe nascoste della psiche umana. Si può invece affermare che alcuni testi contengano un alto grado di narratività, e sono quelli in cui l’esperienza umana e più evidente, rispetto ad altri testi a basso grado di narratività, in cui il focus è maggiormente incentrato sulla serrata sequenza del plot.

In realtà anche nella novella boccaccesca emerge un buon grado di narratività. Sebbene gli eventi si susseguano in modo da tenere desta l’attenzione del fruitore, largo spazio è dedicato alle sensazioni e agli stati d’animo dei personaggi, ed emergono anche a livello linguistico. Così, quando Andreuccio decide di partire per Napoli, la narratrice Fiammetta sottolinea la presenza di «questa sua borsa» a significare il grado di attaccamento del giovane con il suo denaro. Più avanti, quando avviene l’incontro con la giovane siciliana, viene anche registrato un pensiero, una frase intima e ad alto grado di soggettività, poiché è alla base del suo piano di frode: «Chi starebbe meglio di me se quegli denari fosser miei?»

Gli accenni all’interiorità dei personaggi e alla loro intenzionalità progettuale sono disseminati in tutta la novella e umanizzano profondamente le figure, che non sono semplicemente attori in una trama ben intessuta, ma uomini. Così il fruitore, quando Andreuccio viene chiuso nella tomba del sacerdote, non può fare a meno di simpatizzare con lo sfortunato protagonista davanti alla concisa, e tuttavia minuziosa, descrizione della sua disperazione:

«Ma poi che in sé fu ritornato, dirottissimamente cominciò a piagnere, veggendosi quivi senza dubbio all’un de’ due fini dover pervenire: o in quella arca, non venendovi alcuni più ad aprirla, di fame e di puzzo tra’ vermini del morto corpo convenirlo morire, o vegnendovi alcuni e trovandovi lui dentro, sì come ladro dovere essere appiccato.»

In questo caso, sono proprio gli scorci sulla soggettività di Andreuccio a caricare di significato il testo. Il suo coinvolgimento emotivo con gli eventi, il suo attaccamento agli oggetti, i desideri e le aspettative sono necessari affinché il fruitore possa immedesimarsi nella lettura e approfondire il senso del testo. Esse mettono in campo un’esperienza umana che, per quanto velata da un linguaggio arcaico e collocata in un tempo lontano, non cessa di pungolare le nuove generazioni di lettori e studiosi.

 


FONTI

G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Einaudi, 1980

Monika Fludernik, Verso una narratologia ‘naturale’

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