Cicerone aveva assistito impotente all’ascesa di Pompeo e di Giulio Cesare, i generali e capi fazione che avrebbero scatenato una guerra civile per il controllo del potere. A preoccuparlo era soprattutto Cesare per le sue ambizioni quasi monarchiche e contrarie al vecchio ideale repubblicano. Nel 48 a.C., dopo la vittoria del futuro dittatore sul suo rivale, l’oratore fece ritorno a Roma, ma non riprese a partecipare pienamente alla vita politica.
Nel 46 a.C. divorziò dalla moglie Terenzia, con cui era stato sposato per trent’anni, e contrasse matrimonio con Pubilia, una giovane di origini patrizie che finì però per ripudiare dopo soli 6 mesi. Inoltre, nel 45 a.C. sua figlia Tullia morì nel dare alla luce un bambino. In seguito a questi eventi Cicerone cadde in uno stato di profonda depressione, rifugiandosi nelle sue passioni letterarie. Iniziò un’attività frenetica di scrittura, che lo portò alla stesura di alcune delle sue opere retoriche più importanti come il Brutus e il De oratore.
Mentre Cicerone trascorreva le sue giornate rinchiuso nelle ville di Astura, Tuscolo, Pozzuoli o Arpino, un gruppo di congiurati organizzò quello che è noto come l’assassinio di Cesare. Egli stesso era presente alla sessione del senato delle idi di marzo del 44 a.C., durante la quale Cesare venne pugnalato a morte. La gioia di Cicerone per la morte del tiranno non durò a lungo perché ad assumere il controllo della situazione a Roma fu Marco Antonio, dopo la fuga di Bruto e Cassio. Convinto che fosse in gioco la sopravvivenza stessa della repubblica, decise di assumere la guida del senato per condurre una lotta strenua contro Marco Antonio.
Nella sua battaglia Cicerone pensò di utilizzare un giovane diciottenne, recentemente entrato in politica. Questo era Gaio Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare, da cui era stato adottato come erede. Ottaviano, nel frattempo, stava cercando di accattivarsi la fiducia dei veterani delle legioni cesariane e di altri personaggi influenti, come lo stesso Cicerone. Durante la sua marcia verso Roma infatti visitò proprio l’oratore nella sua villa di Pozzuoli con l’intento di ingraziarselo. Cicerone era convinto che avrebbe potuto manovrarlo per frenare le ambizioni di Marco Antonio.
Si fece così convincere da Ottaviano a tornare nella capitale per guidare lo scontro con l’ex luogotenente di Cesare, che in quel momento stava marciando verso la Gallia Cisalpina. Arrivato a Roma cercò di portare dalla sua parte i nuovi consoli Irzio e Pansa per dichiarare apertamente guerra ad Antonio. Questa sua volontà venne espressa nelle orazioni diventate famose come le Filippiche. Ma le cose non andarono come si aspettava e il senato preferì la via negoziale. In seguito Marco Antonio strinse un patto con Lepido, governatore della Gallia Narbonense e temporeggiò in attesa delle mosse dei rivali. Invece di attaccarli, Ottaviano rivendicò per sé la carica di console, varcò il Rubicone e marciò con le sue truppe su Roma. Cicerone capì subito che il nuovo capo militare stava approfittando del potere delle sue legioni per calpestare la legalità repubblicana.
Scoraggiato e consapevole che la sua causa era definitivamente persa, Cicerone si ritirò nei suoi possedimenti nell’Italia meridionale, da cui assistette alla nascita del cosiddetto secondo triumvirato tra Ottaviano, Lepido e Marco Antonio. I triumviri redassero subito un lista di proscrizione, cioè un elenco di senatori e cavalieri condannati a morte e sottoposti alla confisca dei beni personali. Marco Antonio insistette molto che nella lista fosse inserito il nome di Cicerone, in caso contrario l’accordo sarebbe immediatamente saltato. Ottaviano, dopo aver cercato di far cambiare idea al nuovo alleato, dovette cedere alla sua richiesta. L’oratore quando venne a sapere di essere stato inserito tra i proscritti, si mise in marcia verso la sua villa di Astura da dove pensava di raggiungere la Macedonia per riunirsi a Marco Bruto.
Il 7 dicembre 43 a.C Cicerone arrivò a Formia, dove però venne a sapere che i soldati di Antonio erano ormai vicini alla sua posizione. Saputo ciò, si fece trasportare in fretta e furia verso il porto di Gaeta da cui sarebbe salpato. Ma mentre era in cammino sulla sua lettiga, arrivarono il centurione Erennio e il tribuno dei soldati Popilio. Cicerone, accortosi che Erennio si avvicinava di corsa, ordinò ai suoi servi di fermarsi e deporre la lettiga. Venne così raggiunto dal centurione che prontamente estrasse il gladio, giustiziandolo sul posto. Per ordine di Antonio poi gli vennero tagliate la testa e le mani con cui aveva scritto le Filippiche e furono esposte come trofei sulle tribune dei rostra, luogo dove Cicerone era solito tenere i suoi discorsi.
FONTI
José Miguel Banos, Cicerone, un omicidio di stato, in << National Geographic Storica>>, n°116 (2018), pp.66-77