Illich e la descolarizzazione della società: dal mito di Pandora

«Si scolarizza la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del lavoro».

La frase citata è tra le prime che si leggono nel saggio di Ivan Illich Descolarizzare la società, pubblicato nel 1983. Opera composta con il fine di spiegare il fenomeno della mercificazione della cultura e l’effetto provocato sulle singole esistenze. Il saggio raccoglie in sé le riflessioni di Illich e l’influenza che ebbe su di lui il pensiero di Reimer, i quali non si accontentano di analizzare lo status americano, ma si affacciano verso le realtà dell’America Latina e dell’Africa con lucidità e in cerca di soluzioni.

In Descolarizzare la società Illich non indugia a sottolineare il primo problema: la confusione. Le scuole per come sono state realizzate rischiano, con l’istituzionalizzazione dei valori, l’inquinamento fisico e  l’impotenza  psicologica. L’alunno confonde diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa. Il frutto di quel lungo percorso di formazione a cui molti di noi si sono sottoposti e si sottopongono tutt’ora si conclude con il produrre semplici involucri di nozioni, privi di autonomia di pensiero. A questa confusione subentra l’incapacità dell’uomo di distinguere la propria ricerca di benessere e di equilibrio dal risultato di servizi e trattamenti, frutto di una visione consumistica.

Non dovrebbe stupire il fatto che le sue riflessioni non tocchino le sole istituzioni. Il suo intento è infatti quello di ricercare la natura umana, la visione che ci accomuna sul mondo e gli organismi burocratici. Dato che a essere scolarizzata non è la sola istruzione, ma l’intera realtà sociale.

Altro punto cardine della  questione è la “misura”. L’uomo diventa misurabile, le competenze e così il suo stesso valore sociale, al punto che ogni cosa diventa calcolabile in base a criteri a lui stesso assegnati per mezzo dell’istruzione. Criteri a cui lui non è esente, dato che alla classificazione dell’altro segue la necessaria autodeterminazione della propria  posizione sociale. Così, il valore che si attribuisce è proporzionale al consumo che egli stesso fa dei prodotti delle istituzioni: «sulle sue capacità di inceneritore».

Alla misurabilità segue la “mercificazione dell’uomo e delle sue competenze. Egli ricerca insegnamenti e nel farlo investe tempo e denaro. È il frutto di una lunga escalation che gli concede valore e apprezzamento. Merci sono gli stessi insegnamenti che brama e fagocita freneticamente. Le nozioni che apprende però sono quelle già scelte per il consumo, già assaggiate da altri.

L’uomo perde la possibilità di scontrarsi con l’inaspettato, vive nella pienezza delle sue competenze, competenze che gli vengono attribuite per volontà di qualcuno a lui superiore: il mercato del lavoro. Lo studente affronta il processo educativo come un gioco/rituale: subordinandosi a un maestro favorisce la crescita di un futile sentimento di onnipotenza. L’istruzione non è la risposta al bisogno di crescita personale, l’istruzione è un passaggio verso un ruolo decisivo nella società, per superare chi per anni si è anteposto al semplice studente.

Nel gioco si incolpa del male coloro che non possono e non vogliono giocare. Chi non può vivere l’esperienza scolastica razionalizza la propria crescente frustrazione nella propria  esclusione. Tutto ciò che è diverso non è apprezzabile, spaventa e si allontana. Chi non è istruito, chi non raggiunge il diploma è un peso per la società e valutato come causa di sottosviluppo.

L’uomo moderno è l’uomo istruito, sviluppato e sfruttatore di risorse. È un essere razionale, forte e competente; è il frutto del suo tempo. Precisando, l’uomo di cui parliamo è quello degli anni Settanta, un individuo non poi tanto lontano da quello che siamo noi ora. L’uomo di cui Ivan Illich ci ragguaglia e ci invita a discostarci è il Prometeo moderno, l’idolo delle sue opere. Le sue capacità non hanno limiti. Ma il consumo intenso di questi prodotti è solo un’illusione che finisce con l’incastrare l’uomo in una staticità intensa.

È un’illusione finalizzata alla fuga dai mali liberati dalla dea Pandora. La storia dell’uomo comincia con la degradazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l’azione dei mali scatenati. È l’affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative. Si deve uscire da questa concezione utilitaristica del mondo, creare un uomo epimeteico dalla comunicazione  trasparente. Superare la concezione secondo la quale si debbano formare menti appetibili per il mercato del lavoro; in realtà l’obiettivo è quello di educare uomini liberi. È solo questo il modo per oltrepassare l’idea di uomo cibernetico: sostituendo alle aspettative l’antica speranza.

 


FONTI

I. Illich, Descolarizzare la società, Mondadori, 1983

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