I canti popolari raccontano la storia: Il canto dei sanfedisti pt.2

Per il secondo appuntamento di I CANTI POPOLARI RACCONTANO LA STORIA (qui il primo articolo) analizzeremo un altro classico che non può mancare a una sagra nell’ex Regno delle due Sicilie: il canto dei sanfedisti.

Questa canzone ha un’importante storia alle spalle che risale al 1799-1814, quando in Italia le monarchie tradizionali furono rovesciate e sostituite dalle repubbliche napoleoniche sostenute dall’esercito francese rivoluzionario. Il sanfedismo infatti era un movimento controrivoluzionario che lottava in “difesa della Santa Fede” e delle monarchie tradizionali contro i giacobini, per questo nel ritornello si fa ironicamente riferimento alla Carmagnola, canto francese.

“Sona sona
sona Carmagnola
sona li cunsiglie
viva ‘o rre cu la famiglia”

Il nome sanfedismo deriva da un’armata in particolare, quella del cardinale Fabrizio Ruffo, l’Armata della Santa Fede. Termine che poi si è esteso a tutti i gruppi e alle associazioni cattoliche.

Sant’Antonio era il protettore dell’Armata Cristiana e Reale, nella figura l’uomo a cavallo è Fabrizio Ruffo.

Nel 1799 il Regno di Napoli cadde in mano ai francesi e fu proclamata Repubblica Napoletana (“sorella” di quella francese). L’aristocrazia e la borghesia accettavano la presenza degli invasori, mentre il popolo, soprattutto per l’imposizione di nuove tasse, per i saccheggi e le depredazioni (ci furono molte stragi civili), si sollevarono contro i francesi. Infatti così canta la prima strofa:

“A lu suone d’ê grancasce
viva viva ‘o populo vascie,
a lu suono d’î tammurielli
so’ risuorte ‘i puverielle.
A lu suono d’e campane
viva viva ‘i pupulane,
a lu suono d’î viulini
morte a li giaccubbine!”

L’Armata sanfedista era composta da contadini, borghesi, ufficiali e preti, ma all’esercito presero parte anche briganti, se non veri e propri assassini, in quanto veniva loro promesso il perdono dei peccati e il condono della pena. Come si può immaginare la presenza di elementi violenti nell’esercito portò a episodi molto cruenti di massacri e saccheggi. Paradossalmente neanche le chiese e i conventi furono risparmiati dall’Armata della Santa Fede.

Ma l’obiettivo fu raggiunto: l’armata contribuì alla fine della Repubblica Napoletana, con il conseguente ritorno della monarchia Borbone.


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