Giulio Paolini in mostra a Milano

La mostra Giulio Paolini. del Bello Ideale ha aperto lo scorso 26 ottobre 2018 e sarà visitabile fino al 10 febbraio 2019, presso la meravigliosa sede della Fondazione Carriero, nel centro di Milano.

La Fondazione Carriero ha sede in zona San Babila, nel palazzo quattrocentesco di Casa Parravicini e all’ultimo piano di Palazzo Visconti, di cui si possono ammirare le decorazioni tardo barocche e rococò, che dialogano di volta in volta in modo sorprendente e innovativo con le opere esposte. La Fondazione, nata dalla volontà di Giorgio Carriero, propone sempre mostre personali, avendo come obiettivo la divulgazione dell’arte contemporanea. La personale su Paolini segue, tra le altre, la doppia personale su Lucio Fontana e Leoncillo Leonardi, quella su Pino Pascali, e la più recente su Sol Lewitt. Di volta in volta gli spazi della Fondazione si trovano a ospitare opere di varia natura, appartenenti a correnti diverse. Le esposizioni sono accomunate dal fatto di essere monografiche che non si pongono come grandi antologie – anche per gli spazi relativamente piccoli della Fondazione – ma, anzi, intendono porre l’accento solo su un aspetto particolare o su un periodo circoscritto della produzione dell’artista in questione. In questo caso, la mostra è stata costruita attorno a tre poli tematici specifici, che aiutano a comprendere la vasta e complessa poetica di Paolini: il ritratto e l’autoritratto, la superficie, il mito e il classico.

La mostra è stata realizzata con la consulenza dell’artista stesso, che ha anche realizzato alcune opere site specific per l’occasione.

Giulio Paolini è nato nel 1940 a Genova. Riceve il suo primo premio per un lavoro artistico quando ha appena 8 anni, in un concorso per bambini in cui realizza un dono di Natale per il padre. Il premio gli viene consegnato da Felice Casorati, e da questo momento i suoi successi non fanno che aumentare, e il suo cammino nel mondo dell’arte è assicurato.

Giulio Paolini

A oggi, Paolini è un artista la cui parabola ancora non si è conclusa, e ciò che ha già percorso e prodotto risulta estremamente articolato e sfaccettato. Le sue opere hanno una forte matrice concettuale, ma rientrano anche nella corrente dell’arte povera promossa da Celant negli anni Sessanta; inoltre ha realizzato scenografie per il teatro ed è anche scrittore.

La prima sezione della mostra, allestita al piano terra, si intitola Il ritratto e l’autoritratto (l’autore è assente). Si parte subito con uno dei nodi essenziali del pensiero Paoliniano: l’artista non c’è, non è un creatore, non è il grande demiurgo. L’artista è solo colui che porta in superficie qualcosa di pre-esistente, qualcosa che lo precede: l’opera d’arte. In questa sezione sono presentate opere che indagano proprio la figura dell’autore. Un’opera come Autoritratto (1970) è ben esplicativa. È una fotografia dell’autore scattata da un’altra fotografa, quindi subito si esce dall’ambito canonico dell’autoritratto. Inoltre, Paolini sdoppia la fotografia e al centro pone la parola «Autoritratto» vergata con la propria calligrafia. In questo caso, l’unica azione compiuta dall’autore è quella di apporre la scritta e raddoppiare l’immagine, non tanto quella di realizzarla da principio come ci si aspetterebbe da un’opera con questo titolo.

Paolini in quanto artista non dà mai delle risposte chiare allo spettatore, anzi lo spinge a porsi sempre ulteriori domande; le sue opere non risolvono un quesito, ne creano di nuovi. Un esempio calzante è In cielo (2018), realizzata site specific per la mostra pensando agli spazi della sala in cui è allestita. Si presenta come un alto rettangolo di plexiglas con un paio di scarpe eleganti poste sulla sommità, quasi certamente quelle dell’artista stesso. Sicuramente lavori di questo genere innescano una certa suggestione sull’osservatore, che si trova a dover decifrare – non sempre con successo, perché non è questo lo scopo – le intenzioni di Paolini. Altre opere come Studio per ‘Autoritratto’ (1968) e Deposizioni (2018) continuano a richiamare in causa il ruolo ambiguo dell’artista, che nella seconda opera ha dimenticato – o lasciato di sua volontà? – in mezzo alla sala una valigia dalla quale spuntano fogli bianchi e un vestito maschile elegante, forse da indossare con le scarpe lasciate nella sala precedente.

Al piano superiore, la seconda sezione intitolata In superficie (linea, prospettiva, orizzonte, tautologia…) indaga elementi più concreti: vengono quindi presentate le riflessioni attorno all’oggetto quadro sullo spazio che va a creare. Ecco dunque i Senza titolo (1963), dove due tele sono presentate di verso e di recto. E poi l’indagine sugli elementi della produzione artistica come il Senza titolo del 1961 e il Senza titolo (Plakat Carton) del 1962.

La superficie si modella tramite la geometria, la linea e tutti i segni grafici – Paolini infatti ha avuto una formazione da artista grafico – e la stessa prospettiva acquisisce un ruolo importantissimo. Allo stesso modo, i fogli bianchi in formato A4 standard sono l’arma dell’artista, il suo metodo espressivo primario, e sono presentati in una grossa risma nell’opera Nécessaire (1968). Il lavoro site specific per questa sezione è Finis Terrae (2018), dove da una elegante cornice dorata fuoriesce invadendo lo spazio della parete un grande lavoro grafico-prospettico che sembra non avere limiti.

La terza e ultima sezione è dedicata a una grande passione dell’artista: il mito e la classicità, intitolata Uno di due (il mito e il classico). Il mito è una fonte capitale per Paolini. Influenza il suo immaginario e la sua lunga produzione.

Giulio Paolini, Mimesis, 1975

Sono presentate cinque opere, tra cui il geniale Caleidoscopio del 1976, dove due tronchi di due colonne doriche con capitello sono poggiate su uno specchio, la prima con il capitello in alto, la seconda nel senso opposto, così che nel pavimento a specchio il riflesso di una rimandi l’immagine reale dell’altra. Le esposizioni alla Fondazione Carriero sono sempre estremamente curate e questa non fa eccezione. In apparenza è semplice da fruire, ma più il visitatore si immerge nella poetica di Paolini, più suggestioni coglie e più domande si pone.

La mostra è curata da Francesco Stocchi. Sono presenti interventi scenografici realizzati da Margherita Palli. È visitabile tutti i giorni dalle 11:00 alle 18:00, con ingresso libero.

 



 

 

 

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