“Attila”, la prima del Teatro alla Scala di Milano

Il 7 dicembre è un giorno importante per Milano: si tratta del santo patrono Sant’Ambrogio, è la sera in cui La Scala inaugura la nuova stagione con uno spettacolo di grande spessore proiettato in mondovisione, accogliendo tra i suoi stucchi dorati e i velluti scarlatti le più alte personalità del panorama italiano. Lo spettacolo è stato trasmesso su diversi maxischermi sparsi per il capoluogo lombardo, inoltre, l’assessore alla cultura ha assistito al secondo atto presso il carcere di San Vittore, dove è stata effettuata una proiezione.

Smocking per gli uomini e raffinati abiti da sera per le signore, l’evento di gala è per molti un’occasione per intrecciare prestigiose relazioni sociali e sfoggiare la propria ricchezza, ma è significativo che tale scopo sia perseguito in uno dei templi della cultura italiana, promuovendo l’arte nostrana in tutto il mondo. La prima è anche un’occasione per omaggiare l’Italia, salutando con un lungo applauso Mattarella e consorte, che sorridono al pubblico dal palco reale, e suonando l’Inno di Mameli prima dell’overture. Noi de Lo Sbuffo non abbiamo ricevuto l’ambito invito per partecipare alla prima, né abbiamo la possibilità di pagare l’esorbitante prezzo del biglietto (2500 euro in platea), perciò abbiamo assistito all’evento davanti alla televisione come la maggior parte degli italiani interessati all’opera lirica, sintonizzandoci su Rai1 alle 17.45.

Attila è un’opera giovanile di Giuseppe Verdi, il libretto è stato scritto da Temistocle Solera ispirandosi alla tragedia Attila, Koig der Hunnen di Zacharias Werner. Negli ultimi anni la prima de La Scala ha ospitato opere italiane, segno che Piermarini vuole focalizzare l’attenzione sulla produzione del bel paese. Verdi è uno dei più celebri compositori della nostra nazione e l’orgoglio della città di Milano, perciò la scelta di tale opera ha uno straordinario significato. Attila debuttò alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846, la vicenda intrigò Verdi per i tre protagonisti: Attila, Ezio e Odabella. Siccome il compositore non era soddisfatto del libretto, chiese a Francesco Maria Piave di effettuare alcuni cambiamenti, purtroppo Solera si offese e non collaborò più con il musicista. La prima fu un fiasco, ma oggi l’opera è piuttosto rappresentata ed apprezzata nei teatri, pur non essendo tra le più famose opere di Verdi.

La Scala è uno dei più prestigiosi teatri al mondo, perciò i maestri coinvolti sono i migliori sul panorama internezionale: il direttore musicale è il celebre Riccardo Chailly, uno dei più grandi e conosciuti maestri italiani, mentre il regista è Davide Livermore. Il protagonista, Attila, è il basso Ildar Abdrazakov, la cui voce cavernosa ha caratterizzato magistralmente l’antagonista della storia; il generale romano Ezio è il baritono George Petea e Foresto, un cavaliere di Aquileia, è il tenore Fabio Sartori, entrambi hanno interpretato con efficacia il ruolo dei cupi paladini del popolo italiano. I ruoli brevi, ma non secondari di Uldino e Papa Leone sono interpretati rispettivamente dal tenore Francesco PIttari e dal basso Gianluca Buratto. La prima donna è il soprano Saioa Hernàndez, unica cantante tra i protagonisti maschili, che incanta il pubblico interpretando Odabella un’eroina del popolo forte e coraggiosa, ma anche sensibile e segnata da un triste passato.

La tragedia a cui si ispira la vicenda trasuda nazionalismo germanico, ma l’opera verdiana è un inno alla resistenza italiana contro l’invasore che infiamma le platee risorgimentali. Per questo, anche se i protagonisti sono romani e barbari, i personaggi nominano continuamente l’Italia e lo spettatore ottocentesco italiano, udendo le loro parole, non immagina l’impero romano, ma la propria patria invasa e divisa. Forse per questo motivo la regia non ha scelto un’ambientazione classica: i personaggi indossano panni novecenteschi, lo scenario è quello tipico di una guerra mondiale. Non compaiono centurioni e barbari ma militari, parroci, cortigiani travestiti, fiamme, camioncini militari e motociclette, in un’ambientazione cupa, nebbiosa, realizzata tra le macerie di una moderna città. Unico elemento anacronistico i cavalli, degli animali reali, cavalcati dai cantanti in scena: in groppa agli animali, il leader militare Attila e il leader religioso Papa Leone. Il destriero dell’unno è nero, quello del papa bianco, pertanto le due figure si contrappongono. Lo sfondo è un maxischermo che proietta nubi di nebbia o filmati in bianco e nero in cui si raccontano flash back o si rivela lo stato d’animo dei personaggi. Quando è entrato in scena papa Leone, il fondale è diventato un quadro di arte religiosa, in contrasto con l’ambientazione moderna ma portatrice dei valori antichi e cristiani della chiesa cattolica.

Durante i numerosi intervalli, la Rai ha proposto diverse interviste a spettatori famosi e ad alcuni dei realizzatori dello spettacolo, inoltre sono state proposte alcuni filmati del back stage e dei cambi di scena. In questo modo, chi ha assistito all’opera da casa ha potuto apprezzare dei particolari che la visione dal vivo non svela. Il prodotto televisivo, anche se non potrà mai competere con la visione dal vivo, diventa dunque uno spettacolo curioso, interessante e prezioso. Molti hanno offerto la propria interpretazione dell’opera e hanno analizzato i personaggi, offrendo degli spunti di riflessione e delle chiavi di lettura allo spettatore, altri hanno invece parlato della propria esperienza personale. Elio de Le storie tese, in particolare, ha mostrato come anche gli autori di musica leggera e addirittura comica possano appassionarsi di opera lirica e trarre dalla musica classica spunto per la propria arte.

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