Restituire il tempo al tempo. Momo di Michael Ende

Gianni Rodari sosteneva che la favola fosse «il luogo di tutte le ipotesi», palestra educativa per ogni mente, dei più piccoli e degli adulti. La favola è il territorio dove fantasia e realtà mescolano e fondono le loro voci all’unisono dando vita a una sinfonia che trae origine dal cuore della verità e proviene sempre, come direbbe Kafka, «dalla profondità del sangue e dell’angoscia».

Momo di Michael Ende – autore tedesco del celebre romanzo La storia infinita –  è proprio questo: una storia fantastica che racchiude e porta con sé il sacro emblema della verità. Una favola che culla i bambini ma urla agli adulti.

Immersa in una cornice mitica, in un tempo qualunque di una terra qualsiasi, vive Momo, una bambina dai caratteri altrettanto mitici. Scalza, vestita di un trasandato giaccone oversize, dai crespi capelli corvini e dallo sguardo penetrante, Momo ha origini misteriose. A chi la interroga su dove è nata, lei risponde che «c’è sempre stata»; a chi vuole sapere la sua età, la risposta è vaga e titubante: cento anni! O forse centodue?

La bambina, nonostante l’aura di mistero che la circonda, diventa per tutta la comunità un punto di riferimento e il luogo in cui vive, gli antichi ruderi di un anfiteatro abbandonato, il punto di incontro prediletto. Momo infatti ha una grande qualità, «quello che sapeva fare come nessun altro era ascoltare», e tutti gli abitanti della città – bambini, adulti, anziani – si recano da Momo, per passare con lei il tempo, perché «il tempo era l’unica cosa di cui Momo fosse ricca». Grazie alla pazienza, all’ascolto e all’interesse, la giovane protagonista diventa una magica risorsa, in grado di riappacificare gli animi, di infondere forza e fiducia, di risvegliare creatività e fantasia in tutti.

Ben presto però la perfetta atmosfera di pace e armonia si scheggia e si incrina. Le cause delle crepe sono i Signori Grigi, spilungoni dal colorito cenerognolo, dal passo svelto e muniti di inseparabili valigette ventiquattrore ricolme di sigari. Aguzzini in giacca e cravatta, come un’epidemia che si diffonde a macchia d’olio, i Signori Grigi si propagano per tutte le vie della città con l’unico e terribile scopo di rubare agli umani il loro tempo. Fonte e linfa vitale di quest’esercito di fumatori accaniti è infatti il tempo degli uomini; come vampiri assettati, i Signori Grigi girano per le strade avidi di ogni singolo istante.

Michael Ende, con una prosa paratattica e un linguaggio elementare – Momo sa a malapena leggere e scrivere – tratteggia una complessa realtà distopica che tanto ricorda l’orizzonte apocalittico orwelliano. Una ricca e moderna metropoli color cenere, dagli alti palazzoni e dai muri ingombri di manifesti luminosi che recitano moniti ossessivi:

«TEMPO RISPARMIATO È TEMPO RADDOPPIATO»

«I RISPARMIATORI DI TEMPO VIVONO MEGLIO!»

«MIGLIORA LA TUA VITA… RISPARMIA IL TEMPO!»

Con l’inganno, i Signori Grigi riescono facilmente a convincere gli umani dell’importanza di risparmiare tempo. In nome di una fantomatica economia temporale, spingono le persone a eliminare tutto ciò che considerano superfluo, un’inutile perdita di tempo prezioso: i momenti di gioco, di ascolto, di condivisione e di interesse verso il prossimo. Gli uomini si ritrovano così a condurre una vita dedita unicamente al profitto, dove l’Utile diventa il memento che scandisce ogni tic tac dell’orologio. Le giornate si assottigliano sempre di più, in un vortice di cieca ossessione che si esaurisce in se stesso. È il tempo che, imprigionato nella serrata morsa di utilità, si divora, proprio come faceva Crono, l’antico dio greco, con i suoi figli. Così lo spasmo umano di far fruttare ogni singolo istante si afferma come un inconsapevole decreto di morte del tempo, e quindi dell’esistenza umana, perché «il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiavano, tanto meno ne avevano».

Scritto nel 1972 e pubblicato nel 1973 da Tienemanns, Ende si è rivelato profeta di lucidità lungimirante. Servendosi di una narrazione fantastica e simbolica, le pagine di Momo diventano specchio e anticipazione della moderna vita frenetica. Un ritratto ante temporem della nostra società martellata dall’incessante ansia produttiva e consumistica, che decodifica il tempo in termini di profitto, denaro e utilità. Nel romanzo fantastico di Ende, gli unici a sfuggire questa trappola mortale sono i bambini, come Momo, i soli veramente in grado di ridare valore al tempo, di non cadere vittima della sin troppo facile illusione di poterlo afferrare e rinchiudere nel carcere utilitaristico. I giovani sanno essere padroni del tempo proprio perché lo lasciano libero, come liberi sono loro stessi e capaci di vedere la bellezza e la vita racchiuse in ogni istante.

È proprio questo il prezioso messaggio e il valore profondo di Momo: dare tempo al tempo. Con questo libro Michael Ende ci vuole educare al tempo, una forma di educazione che gli adulti sembrano aver dimenticato ma di cui i giovani, seppur inconsapevolmente, sono portatori. Riprendendo un antico e quanto mai verace proverbio, Momo ci ricorda che andare piano, se non a ritroso, è il modo migliore per raggiungere la proprie mete e la felicità.

 


FONTI
Michael Ende, Momo, traduzione di Daria Angeleri, Longanesi, 2010
Corriere

 

 

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