La Gigantomachia nell’arte: storia di un mito in continua evoluzione

Dalla mitologia greca ai manga giapponesi, l’arte rielabora nei millenni il mito della Gigantomachia raccontando la vittoria continua dell’equilibrio e dell’armonia sul caos e sulla violenza.

Altare di Pergamo, dettaglio Gigantomachia

La Gigantomachia, letteralmente la battaglia dei Giganti, rappresenta la fase ultima della Cosmogonia, ovvero quel processo di costruzione di un cosmo ordinato e armonico affermatosi con scontri di sangue tra creature mitologiche. L’episodio della caduta dei Giganti emerge tra le pagine della Teogonia, dove il suo autore, Esiodo, racconta di come Gea (Terra), sovrastata perennemente da Urano (Cielo), complottò con i figli da lui generati per eliminarlo. L’ultimo di questi, Crono, evirò il padre per poterlo allontanare e finalmente vedere la luce del sole. Il sangue così sgorgato diede origine ai Giganti, creature temibili legate a una profezia per cui nessun immortale sarebbe stato in grado di sconfiggerli. Su queste basi si fondò Gea per tramare contro Zeus dopo l’eliminazione del padre Crono e il confinamento dei Titani nelle profondità del Tartaro. La sconfitta del gigante Tifone, schiacciato sotto il peso dell’Etna da Zeus, scatenò ancor di più l’ira di Gea, che scagliò i suoi Giganti verso l’Olimpo guidati da Porfirione e Alcineo. Tutte le divinità, aiutate dal tocco di Eracle (o Ercole), colpirono astutamente uno a uno i Giganti, facendoli crollare sotto la loro stessa mole.

Giulio Romano, Camera dei Giganti

Anche il poeta latino Ovidio racconta la leggendaria battaglia tra creature titaniche nelle sue Metamorfosi come una guerra partita dalla Sicilia, attraverso i Campi Flegrei, fino al raggiungimento della Grecia, dove svettava l’Olimpo. Così racconta l’autore:

«Si narra che i Giganti, aspirando al regno celeste, ammassassero i monti gli uni sugli altri fino alle stelle».

I Giganti, con la loro instabile scala babelica, nutrivano l’aspirazione velleitaria di ribaltare l’atmosfera idilliaca dell’Olimpo, ma caddero sotto il peso della montagna da loro stessi costruita. Ha così fine l’esistenza di creature sin dalla nascita iniettate di odio e violenza. Secondo la leggenda, la loro esistenza fu relegata nelle profondità della terra e, ogni volta che si scatena un terremoto, altro non è che la carica irruenta dei Giganti che premono per uscire. Il celebre mito cosmogonico può essere così orientato secondo due declinazioni: da un lato si sviluppa dalla furia vendicativa di Gea, dall’altro è rappresentazione dell’oppressione della brutalità, del disordine, della violenza a favore di un equilibrio armonico cosmico.

Luca Zamoc, La caduta dei giganti, 2017

Un evento così ricco di pathos e dinamismo non poteva essere privato di più rappresentazioni artistiche che lo immortalassero. Ecco quindi che tra il 183 e il 174 a.C. fu eretto a Pergamo, città trionfante su una collina dell’Asia Minore, poco distante dalla costa del Mar Egeo, l’altare omonimo dedicato a Zeus e ad Atena come portatori di vittorie. La composizione architettonica fu realizzata per celebrare la sconfitta delle divinità, alleate agli abitanti di Pergamo contro i Celti Galati. Originariamente, l’edificio godeva di una parte di basamento in alto rilievo, lunga 110 metri, sulla quale era rappresentata la Gigantomachia. La scelta di questa battaglia è simbolica, poiché è una trasposizione metaforica dello scontro tra Pergamo e i Galati, come scontro tra divinità e Giganti, quindi tra civiltà e barbarie. Il fregio pone come soggetto centrale e maestoso Eracle, figlio di Zeus e Alcmena, d’importanza decisiva nello scontro con i Giganti, per via della sua natura in parte divina e in parte umana. Se come afferma Aristotele: «In medio stat virtus» (la virtù sta nel mezzo), allora la natura ibrida di Eracle è l’unica soluzione per mediare tra due entità immortali e titaniche. I Giganti vengono rappresentati come creature antropomorfiche, con code di drago al posto delle gambe e una corporatura massiccia e finemente definita nella muscolatura, ma sempre inferiore all’eleganza e alla grandiosità della rappresentazione delle divinità.

Attack on Titan, Gigante Colossale

Passano i millenni e, tra il 1532 e il 1535, Giulio Romano realizza un affresco leggendario tra le mura della Camera dei Giganti, all’interno di Palazzo Te, a Mantova. La peculiarità della composizione pittorica sta nella sua complessità, che accoglie un intenso dinamismo delle figure, accanto alla tensione patetica resa dall’aggrovigliarsi dei corpi nella battaglia e dalle espressioni dei volti fortemente comunicativi. L’artista sfida i limiti spaziali forniti dall’ambiente, lasciando che l’opera divampi in tutte le direzioni durante il compiersi della battaglia. Lo scontro tra Dei e Giganti avviene in cielo, al di sopra della piana greca di Flegra, nel tentativo vano dei Giganti di raggiungere l’Olimpo. I corpi in battaglia s’intrecciano in un vortice discendente che sancisce la caduta dei Giganti sotto il tocco definitivo di Zeus, accompagnato dalla sua folgore. Tutta la scena è immersa in un ricco magma cromatico, che dona luminosità all’ambiente e cattura nella contemplazione lo sguardo attonito dell’osservatore.

Ispirato dalla magnificenza degli affreschi di Romano, lo street artist modenese Luca Zamoc realizza nel 2017 il murale La caduta dei Giganti a Modena, in collaborazione con l’associazione culturale TOTART. Lo scopo dell’artista è quello di omaggiare la celebre sala di Palazzo Te con una rielaborazione dei soggetti in chiave fumettistica anni ’80, in bianco e nero, e con un’attenzione particolare all’anatomia delle figure. Proprio il mondo dei fumetti, e in particolare dei manga giapponesi, ha entusiasticamente accolto il mito della Gigantomachia, rielaborandolo in maniera originale e facendone oggetto di storie di grande successo, come Attack on Titan (Shingeki no Kyojin). In un futuro post apocalittico, il fumettista Hajime Isayama rievoca la battaglia dei Giganti, declinata però contro gli uomini, che hanno costruito apposite mura per difendersi dalla minaccia. I personaggi sono originali, la trama è avvincente e il risultato non può che essere positivo. È così possibile intrecciare un mito delle origini con l’avanguardia fumettistica in continua evoluzione. Si tratta di una base narrativa continuamente rielaborabile e integrabile in maniera vincente e l’arte ha giocato la sua parte per renderla sempre attuale e coinvolgente agli occhi dello spettatore.

 


 

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