La storia che non si racconta

Che la storia la scrivano i vincitori non è un mistero. Che interi capitoli della storia contemporanea di un popolo vengano però cancellati dai libri di scuola, questo fatto è meno scontato. Bene e male non sono sempre separati da un confine netto; a volte tra i “cattivi” emergono persone buone e altrettanto spesso i “buoni” compiono azioni cattive.

La Germania uscì distrutta dalla sconfitta della Seconda Guerra Mondiale. Devastata da un punto di vista economico, costretta a rispettare le svilenti clausole stabilite dalle potenze Alleate, annientata dalla frattura territoriale, divisa in quattro (poi due) zone di occupazione. Eppure, le ferite dell’ex Terzo Reich erano prevalentemente morali. Un popolo amputato dalla guerra si trovò infatti a dover fare i conti con il proprio passato, con il nazionalsocialismo e soprattutto con l’orrore dei Lager. La Vergangenheitsbewältigung (confronto con il proprio passato per poi riuscire a conviverci) fu portata a capo dai principali intellettuali tedeschi ma anche dai singoli cittadini. La rielaborazione dei traumi vissuti passò naturalmente in secondo piano rispetto al dibattito riguardante la grave questione della colpa.

Fu il filosofo tedesco Karl Jaspers uno dei primi a tematizzare le responsabilità del popolo tedesco nel saggio Die Schuldfrage (1946). Egli individuò alcune tipologie di colpa: da quella criminale, compiuta dal singolo e giudicata da un tribunale (a tal scopo verranno poi istituiti i Processi di Norimberga), fino a quella metafisica, che consiste nell’annullamento della dignità umana, peccato che riguarda ogni cittadino e talmente grave da non poter essere giudicato se non dalla propria coscienza. Così il popolo tedesco, diviso tra i neonati stati di RFG (Repubblica Federale Tedesca, allineata con la NATO) e di RDT (Repubblica Democratica, sottoposta al controllo dell’URSS), si impegnò a dover fare i conti con le proprie indubbie responsabilità e colpe. Al contempo assistette però impotente al silenzio dell’opinione pubblica e dei media riguardo ai traumi subiti.

Dresda dopo i bombardamenti, 1945

Primo tra tutti, i tedeschi si videro obbligati a ricostruire un Paese di cui non restavano altro che macerie, provocate prevalentemente dai bombardamenti alleati sulla popolazione civile. Tristemente celebri divennero i bombardamenti di Amburgo del 1943 (facenti parte della cosiddetta Operazione Gomorrah). Essi furono portati avanti dall’aviazione degli alleati non solo tramite l’utilizzo di bombe tradizionali, ma anche attraverso ordigni incendiari al fosforo, in seguito proibiti dalle Convenzioni di Ginevra. Chi riusciva a sopravvivere alle detonazioni veniva bruciato vivo dal fosforo che restava nell’aria, causando vere e proprie Tempeste di Fuoco (Feuersturm). Lo stesso accadde nella città aperta e smilitarizzata di Dresda, che bruciò ininterrottamente per due giorni e due notti. Ma a questo poco lusinghiero capitolo della storia contemporanea, i vincitori preferiscono non fare riferimento.

Ulteriormente inosservati alle immagini trasmesse dai media passarono i massacri compiuti dai soldati dell’Armata Rossa della Repubblica Socialista Sovietica contro i civili. Durante l’avanzata verso il cuore della Germania, essi compirono azioni oggi considerate veri e propri crimini di guerra. Ricordiamo in particolare la Strage di Nemmersdorf, un villaggio della Prussia Orientale dove nel 1944 si ritrovarono i corpi di 74 tra donne, anziani e bambini. Le donne avevano tutte subito torture e stupri. La più giovane aveva 8 anni, la più anziana 84. La propaganda nazista gestita da Joseph Goebbles si affrettò ad utilizzare le immagini di Nemmersdorf a proprio vantaggio, l’Armata Rossa smentì prontamente la notizia del massacro.

Francobollo tedesco in memoria della migrazione forzata.

La tragedia maggiore che l’ormai prostrata popolazione tedesca fu costretta a subire, circondata dal grave silenzio della stampa (che, tutt’ora, tratta raramente la faccenda), è però la Vertreibung. Si tratta della migrazione forzata di milioni di tedeschi dall’est Europa dove abitavano alla Germania: un’operazione di pulizia etnica tristemente caduta nel dimenticatoio. Il fenomeno dei Vertriebene riguarda infatti una delle più dure migrazioni di cui fu teatro l’Europa in epoca contemporanea, avvenuta tra 1945 e 1950. Polonia, Cecoslovacchia, territori allora appartenenti all’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: queste le zone in cui si consumò l’espulsione di milioni di austro-tedeschi.  Molte di queste regioni erano state annesse al Terzo Reich durante la guerra, ma altre appartenevano storicamente alla Germania (fin dalla Repubblica di Weimar) e le furono strappare a scopo punitivo.

L’espulsione fu solo il culmine della violenza, e fu preceduta dal proliferare di comportamenti di intolleranza e xenofobia. Una consistente fetta di popolazione tedesca fu dunque forzata a marciare per migliaia di chilometri scortata da soldati armati prima di raggiungere la Germania. Donne violentate, bambini strappati alle proprie madri, rapiti e mai più ritrovati. Questi solo alcuni dei crimini che i tedeschi provenienti dall’Europa orientale dovettero affrontare nel più assoluto silenzio. Come scrisse nel saggio Kulturkritik und Gesellschaft il filosofo Adorno: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”. Solo nel 1999 questa frase, tanto celebre da diventare quasi un motto, venne applicata alle le ferite ancora sanguinanti del popolo tedesco, per tentare di spiegarne il significato. Ad affrontare il tema fu W.G. Sebald nel suo ciclo di conferenze Luftkrieg und Literatur. “ In virtù di una tacita intesa” afferma Sebald  “…lo stato di annichilimento materiale e morale in cui versava l’intero paese non doveva essere descritto”.

E’ solo negli anni Novanta infatti che letteratura e discorso pubblico affrontano il tema del Dolore tedesco (Deutsches Lied), come nel romanzo di Hans-Ulrich Treichel Der Verlorene (Un uomo perduto, 1998). Il testo tratta la perdita del fratello del narratore, affidato dalla madre ad una donna durante la Vertreibung e mai più ritrovato. La ricerca del fratello ed il vuoto da lui lasciato segneranno profondamente le pagine dell’opera. E’ quindi solo in epoca recente che i tedeschi, avendo ormai definitivamente riconosciuto e condannato il proprio passato nazionalsocialista, possono dedicarsi alla riflessione sui gravi traumi subiti; ed è sempre solo in questi ultimi anni che la Grande Storia accetta di raccontare questi episodi vergognosi. Sono però ancora molte le vicende ufficialmente taciute dal discorso pubblico, perché certe ferite, una volta aperte, difficilmente rimarginano.

Fonti:

Karl Jaspers, Die Schuldfrage, Piper Verlag, 1946

Theodor Adorno, Kulturkritik und Gesellschaft, Suhrkamp Verlag, 1951

G. Sebald, Luftkrieg und Literatur, Fischer, 1999

Hans-Ulrich Treichel, Der Verlorene, Suhrkamp Verlag, 1998

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