“Hill House”: la serie Netflix che racconta fantasmi, soprattutto i nostri

The Haunting of Hill House è uno dei romanzi horror più influenti del XX secolo, vero e proprio archetipo di tutte le moderne storie di case infestate. Scritto nel 1959 dall’autrice Shirley Jackson, per oltre mezzo secolo ha ispirato scrittori, cineasti e artisti d’ogni genere, fino a sbarcare di recente su Netflix nell’ormai consueta formula della serie tv. La versione italiana del titolo perde la prima parte e diventa semplicemente Hill House, scelta tutto sommato consona nel mettere in risalto fin dal principio la fatiscente e spettrale magione al centro delle vicende.

La serie creata da Mike Flanagan, regista e sceneggiatore specializzato nel genere horror, si ispira all’opera da cui è tratta riprendendone la terrificante ambientazione e le inquietanti atmosfere, ma ne rinnova la storia. Il racconto originario è incastonato nello show con un elegante meccanismo di mise en abyme: uno dei protagonisti è nella finzione autore di un libro omonimo a quello della Jackson e la sua voce fuori campo apre il primo episodio citando con esattezza l’incipit del romanzo reale. Molti dei personaggi e delle loro caratteristiche derivano dal libro, ma con cambiamenti abbastanza sostanziali da rendere la trama in gran parte inedita. Solo l’inquietante dimora del titolo rimane immutata: Hill House si staglia al centro dell’universo narrativo con la sua massa cupa e pesante, una stella oscura attorno alla quale orbitano i protagonisti, intrappolati ineluttabilmente nel suo campo gravitazionale e destinati presto o tardi a collassare su di essa.

La storia segue le vicende della famiglia Crain e si dipana lungo due archi temporali continuamente intrecciati tra di loro. Nel 1992, Hugh e Olivia Crain si trasferiscono insieme ai cinque figli Steven, Shirley, Theo, Luke e Nell a Hill House, una vecchia magione diroccata che hanno intenzione di ristrutturare e rivendere. Ben presto però iniziano a verificarsi strani avvenimenti: apparizioni misteriose e incidenti inspiegabili turbano il soggiorno della famiglia, mentre l’atmosfera di inquietudine e angoscia cresce giorno dopo giorno fino alla fatidica notte finale nella casa.

Venticinque anni più tardi, i cinque bambini sono ormai adulti e conducono vite diverse, ma accomunate da un comune denominatore: l’ingombrante presenza di Hill House nel loro passato. Le esistenze dei Crain sono state segnate dall’esperienza traumatica vissuta da piccoli: Steven è diventato uno scrittore horror di successo, lanciato dal racconto delle vicende accadute nell’infanzia (alla cui natura sovrannaturale però non crede); Shirley gestisce un’agenzia di pompe funebri; Theo è una psicologa infantile che aiuta i bambini in difficoltà; Luke e Nell, gemelli, sono alle prese con la dipendenza dalla droga e i problemi mentali che si trascinano dietro fin da allora. L’apparente suicidio di Nell, tornata a distanza di anni a Hill House, riapre i conti in sospeso dei Crain col passato, e in particolare con quell’ultima notte in cui la loro madre perse la vita in circostanze misteriose su cui il padre, unico testimone, ha sempre taciuto. L’origine di tutti i misteri sembra essere l’impenetrabile Stanza Rossa, cuore pulsante e corrotto della casa, teatro di un terribile avvenimento.

Punto di forza della serie è la sua particolare struttura narrativa temporale. I due archi paralleli sono strettamente connessi e si intrecciano a vicenda, aggiungendo di volta in volta nuove informazioni e prospettive l’uno all’altro. Il mosaico della trama è ulteriormente arricchito da una serie di prolessi e analessi collocate tanto nelle vicende passate quanto in quelle presenti, che hanno l’effetto di coinvolgere al massimo lo spettatore creando un’ondata di tensione crescente fino alla catartica risoluzione finale. Degno di nota anche il certosino labor limae in fase di montaggio: i piani spaziali e temporali si alternano senza apparente soluzione di continuità, la dimensione del reale sfuma nel ricordo e in ogni momento un personaggio può ritrovarsi immerso nei meandri della casa infestata, in un altro tempo, in un altro luogo.

Hill House è più di un semplice horror. Spettri, apparizioni e jumpscares improvvisi non mancano, ma la serie va oltre il compiacimento del facile sussulto e riesce a costruire un’atmosfera snervante che si insinua a fondo nello spettatore senza mai abbandonarlo. Cosa ancora più importante, la grande attenzione dedicata ai drammi familiari dei suoi protagonisti dà vita a personaggi genuinamente interessanti, nei quali è facile immedesimarsi e per i quali viene spontaneo parteggiare. La famiglia problematica e disfunzionale dei Crain ne rappresenta molte altre reali, ognuna con la sua storia di contrasti e alleanze, rotture e riconciliazioni, menzogne e verità taciute. La serie mette in relazione il paranormale col quotidiano per imbastire un racconto del terrore che è anche un’indagine sull’uomo e le sue paure, mancanze, debolezze. 

I fantasmi di Hill House sono veri, ma sono anche la rappresentazione dei traumi, dei problemi, a volte persino dei desideri di ciascuno di noi. L’unico modo per superarli, insegna la serie, è affrontarli senza paura.


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