“Se Dio vuole”, un canto di migranti

“Potete respingere, non riportare indietro. È cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata.”

Vignetta di Makkox per «Il Foglio»

In queste ultime settimane il mondo ha preso in mano «Il Foglio» e vi ha trovato una vignetta di Makkox, il disegnatore che arricchisce frequentemente le pagine de «L’Espresso». L’immagine di un ragazzino che mostra agli occhi curiosi di un polpo e di un pescecane una pagella scolastica.

In quel momento abbiamo aperto gli occhi. Abbiamo condiviso l’immagine, commentato, ci siamo scandalizzati. Qualcuno di noi magari ha letto qualche pagina del libro di Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto, edito nel 2018. È proprio Cristina, medico legale che dal 2013 si occupa di riconoscere i corpi dei migranti annegati nel Mediterraneo, che ci racconta la storia di quel bambino senza nome, venuto dal Mali, con un plico di carta sbiadito cucito addosso: una lista di voti in arabo e francese. La storia è vecchia. Risale al 2015, quando nella notte del 18 aprile 2015 un peschereccio egiziano si inabissò, portando con sé quasi mille migranti.

2015 – 2019. La situazione non cambia. I rapporti dell’ANSA del 18 gennaio parlano chiaro: centosettanta morti in due naufragi, solo negli ultimi giorni. Altri cinquantatré migranti sono in rotta verso la Spagna. Ora, è molto facile spalancare gli occhi per poi richiuderli. Perché dal Mali con le pagelle cucite addosso ne arrivano tanti. Senza nome e senza volto, con un biglietto di “solo andata“, come scriveva il poeta Erri De Luca.

Ma attenzione: questo articolo vuole distinguersi dalle discussioni politiche. La soluzione da offrire non ha partito, e non può essere che un appello, ininterrotto e disperato, all’umanità. Questo articolo vuole parlare di musica e cerca (a suo modo) di invitare ad ascoltare, oltre che a guardare.

SE DIO VUOLE

Inshallah è la canzone che Sting ha dedicato nel 2016 proprio a chi ogni giorno intraprende il viaggio della speranza a bordo di barconi affollati. È una piccola perla tratta dall’album 57th & 9th, il dodicesimo e penultimo disco registrato dal cantante; un disco dai temi e dai generi molto vari, dalla ballad al rock, dai cambiamenti climatici all’omaggio a Prince. Inshallah nasce da un incontro, come il cantautore stesso racconta.

“Oltre a quella sul disco, ho registrato una versione con un gruppo di musicisti siriani rifugiati a Berlino. Mi hanno raccontato la sofferenza del loro popolo e la loro disperata traversata verso l’Europa, poi ho chiesto l’approvazione per pubblicare il pezzo. Le storie che ho ascoltato contenevano il significato profondo di “Inshallah”, “A Dio piacendo” in arabo. È una parola meravigliosa, che adoro ripetere.”

Sting sceglie di cantare Inshallah sul palco del Bataclan, in occasione della riapertura un anno dopo l’attentato del 13 novembre 2015. Ebbene, la scelta non è casuale: quell’Inshallah in arabo, che suona strano gridato lì, dopo la strage, non è fuori luogo, ma evoca rassegnazione, coraggio e speranza. Il dramma dei novanta morti del Bataclan si fa un tutt’uno con la storia di una famiglia, una come tante, su un piccolo peschereccio.

Il musicista rivela di non avere soluzioni politiche da offrire a quello che è il dramma dei migranti, ma di sentire che, se una soluzione esiste, allora le sue radici affondano nel terreno dell’empatia, della solidarietà. Perché in qualche modo migriamo tutti, o lo abbiamo fatto. Immaginate di essere sur un petit bateau con i vostri figli: questo è l’invito che Sting rivolge al pubblico francese.

Sleeping child, on my shoulder,
Those around us, curse the sea […]

Anxious eyes, search in darkness,
With the rising of the sea.

Inshallah, Inshallah,
If it be your will, it shall come to pass.

Steve McCurry, Ragazza Afgana

Gli occhi di una madre, un bambino che dorme. Quando Steve McCurry fotografò la ragazza afgana dagli occhi di ghiaccio, nel campo profughi di Peshawar, il mondo si accorse che la sofferenza non è un concetto, ma ha dei lineamenti dettagliati, un’espressione ben precisa. Troppo spesso i migranti, vittime di guerra di cui leggiamo sui giornali, restano anonimi. Senza nome, senza volto, come nel libro del medico legale Cristina Cattaneo. Ci dimentichiamo che ci sono vite, lì fuori.

Sea of worries, sea of fears,
In our country, only tears
In our future there’s no past,
If it be your will, it shall come to pass.

Sting non lavora con grandi metafore, ma ci presenta un testo molto semplice, come una preghiera che si leva dal mare: uno sguardo verso il futuro, una mano tesa in avanti, perché quello che c’è dietro è da dimenticare. “Tutto, ma non il ritorno in Libia” sono le ultime suppliche dei migranti, quelle che ci vengono riportate dai media ogni giorno.

Forse ci sarebbe davvero utile, questo sguardo in avanti.

Tra tante parole, tanti appelli, tanta retorica politica, la musica di Sting risuona portando al centro dell’attenzione quello che forse stiamo tralasciando: l’uomo nella sua concretezza, con tutta la sua storia, tutta la sua sofferenza.
La crisi, il problema, la situazione. Non giriamoci attorno: l’umanità non è un’idea. È un bambino con la pagella cucita in tasca.

Se Dio vorrà, così avverrà.

 

FONTI

E. De Luca, Solo andata, Feltrinelli, 2005

Il Fatto Quotidiano

La Repubblica

Grazia

 

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